Dopo aver ricevuto il Leone d’oro alla carriera nel 2019, Pedro Almodóvar torna a Venezia inaugurando la 78. Mostra d’Arte Cinematografica con Madres Paralelas, primo titolo del concorso. Il film, che non è stato scelto dalla Spagna per rappresentare il paese ai prossimi Academy Awards, è un altro tassello della maturità artistica e stilistica di Almodóvar dopo Julieta e l’acclamato Dolor Y Gloria, non riuscito quanto quest’ultimo ma senza dubbio il più esplicito della sua filmografia nel combinare la dimensione privata con quella collettiva e quindi nell’affermare il gesto artistico come politico.
Due madri e un filo che ne lega i destini
Janis (Penélope Cruz) è una fotografa di moda di successo. Conosce Arturo (Israel Elejalde), un antropologo forense che promette di aiutarla in un progetto a lei molto caro nel suo paese natale: dissotterrare la fossa comune in cui il bisnonno è stato gettato, dopo essere stato assassinato dai falangisti durante la guerra civile spagnola, per dar finalmente degna sepoltura a lui e agli altri desaparecidos del villaggio. Janis ha una fugace relazione con Arturo e resta incinta dell’uomo, che è già sposato. In ospedale per il parto incontra Ana (Milena Smit), un’adolescente spaventata dalla sua precoce e indesiderata gravidanza. La loro intesa immediata è destinata a rafforzarsi un anno dopo la nascita delle rispettive figlie, saldandosi in un legame segnato da segreti, rivelazioni e colpi di scena.

Le ferite non ricomposte nel passato spagnolo
Nel suo 23esimo lungometraggio, il regista iberico sceglie di non rappresentare le donne della sua infanzia, le sue muse ispiratrici, ma due madri imperfette, le cui gravidanze inaspettate sono l’occasione per riflettere non solo sulla maternità ma anche su identità e memoria. Madri senza padri (ma anche la madre di Ana, interpretata da Aitana Sánchez-Gijón, è egoista, più preoccupata della sua carriera teatrale che della figlia), Janis e Ana sono donne che, spesso accade nell’universo di Almodóvar, vivono abbandoni e desideri in un mondo dove gli uomini entrano solo tangenzialmente. Ma in Madres Paralelas Janis e Ana incarnano anche due facce della stessa medaglia, la Spagna, uno dei primi paesi al mondo per numero di persone scomparse, sembra ancora lontana dall’aver chiuso il capitolo della guerra civile. Il futuro delle protagoniste e della stessa Spagna, ci dice il regista, non può che passare dalla ricomposizione della verità storica che lega le generazioni, antenati e discendenti, nel filo dell’appartenenza (non solo genetica).
Lo stile di Pedro Almodóvar è sempre più riconoscibile, meno barocco di un tempo, con i cromatismi che accendono le scenografie, i costumi e gli oggetti delle due protagoniste. Il suo Madres Paralelas è un melodramma trattenuto che non convince fino in fondo nella rappresentazione del legame tra Ana e Janis, ma sa esplodere in un finale commovente e convincente. Se Milena Smit è la nuova rivelazione del cinema tutto al femminile del cineasta iberico, Penélope Cruz si conferma icona almodovariana impareggiabile, giusta vincitrice della Coppa Volpi che avrebbe meritato anche per l’altra sua interpretazione festivaliera in Competencia Oficial.