All’interno del vivace dibattito sulla contaminazione tra il linguaggio cinematografico e quello televisivo, si inserisce con una sua autonoma originalità L’Immortale di Marco D’Amore, pronto a invadere le sale italiane per la gioia di tutti gli adepti della serie tv Gomorra. Si tratta di un’operazione cross-mediale, che da un lato si pone come trait d’union tra la quarta e la quinta stagione dell’acclamata fiction, a sua volta figlia del romanzo di Roberto Saviano e del capolavoro cinematografico di Matteo Garrone. Ma allo stesso tempo il lungometraggio prova a stare sulle sue gambe, evitando di respingere dapprincipio il neofita che non ha mai vissuto su schermo le oscure avventure criminale di Ciro Di Marzio, Genny Savastano e gli altri personaggi cult della serie.
Marco D’Amore, che aveva esordito alla regia dirigendo un paio di episodi della passata stagione, riprende il suo personaggio iconico, l’Immortale del titolo, nomignolo affibbiatogli quando da bambino si rivelò l’unico sopravvissuto del terremoto che colpì la città nel 1980. Quello che ne viene fuori è uno strano oggetto ibrido, non propriamente uno spin-off, essendoci alcuni riferimenti precisi sulla continuità temporale del serial, non del tutto un prequel, visto che molto si snoda sul tempo presente, con Di Marzio scampato alla morte che si ritrova a Riga, in Lettonia, ed alcuni flashback sul suo passato, prima di come lo abbiamo conosciuto in Gomorra.
La forza della messa in scena
E proprio la parte ambientata nell’infanzia di Ciro il film gioca le sue parti migliori, sin dal montaggio alternato tra la scena iconica con cui Ciro spariva dalla serie, con l’evocazione scenograficamente puntuale del sisma distruttivo: emerge nei contrappunti del passato Napoli come città-mondo, che si porta appresso, nel suo tessuto urbano, le stratificazioni del tempo, fotografata con occhio mai banale.
La fotografia è sicuramente uno dei punti di forza de L’Immortale, sorreggendo uno stile visivo che alterna primissimi piani e scorci panoramici in campo medio e lungo che esaltano anche l’orizzontalità della capitale lettone. In generale tutto il lavoro sul profilmico è di alto valore, a dimostrazione di uno sforzo produttivo non indifferente per continuare a offrire un’impronta fortemente internazionale al brand di Gomorra. Tuttavia alcune scelte stilistiche destano qualche perplessità, dimostrando come, al netto di tutti i panegirici sulla nuova serialità televisiva, il passaggio al grande schermo, alla durata e alle tempistiche dell’opera cinematografica, non è sempre così agevole.
Dalla tv al cinema
La recitazione a tratti impostata, con battute pronunciate con calcolata, ieratica lentezza, una colonna sonora dei fidi Mokadelic a volte eccessivamente enfatica, qualche raccordo di montaggio che induce talora a parallelismi troppo forzati tra passato e presente, sono limiti che vengono a galla quando si passa dal respiro breve di una puntata a un film unico di quasi due ore. Difetti, se lievi o abnormi lo lasciamo al giudizio dello spettatore, che inducono a pensare quanto sia comunque necessario lavorare più di cesello, e modificare almeno parzialmente lo sguardo registico, affinché la narrazione possa procedere lungo binari autenticamente cinematografici.
Resta in ultimo il limite intrinseco dell’operazione: è davvero il film così fruibile per lo spettatore ignaro o deve quest’ultimo correre a vedere tutte le stagioni passate prima di tuffarsi nella visione de L’Immortale? Il sospetto che l’incolpevole pubblico a digiuno del serial passi il tempo della visione a chiedersi chi diavolo sia Genny resta. Ma non abbiamo dubbi che il fan troverà tutto ciò che attende dal film di D’Amore, azione, pathos, colpi di scena che strozzano il cuore in gola, quel connubio tra tragedia classica e (neo?)realismo degli ambienti che ha decretato il successo mondiale di Gomorra. Per capire se il box office sarà altrettanto entusiasta, non resta che attendere.
Al cinema dal 5 dicembre 2019. Si ringrazia l’ufficio stampa per il materiale fotografico