Venezia 75 – The other side of the wind di Orson Welles

The other side of the wind di Orson Welles è stato certamente l’evento di maggior richiamo di Venezia 75,  e non poteva esserci scelta migliore come apertura di Venezia a Napoli Cinema Esteso: un ufo piombato direttamente dagli anni Settanta, il decennio più folgorante della storia del cinema moderno, che da massa informe di immagini quale era rimasto sin dal 1976, anno del suo completamento sul set dopo essere iniziato nel 1970, con oltre 100 ore di girato, si fece infine film – e che film! – grazie a l’odiosa e amata Netflix, che ha messo a disposizione i capitali necessari per editarlo. Un’opera densa e stratificata, che rifugge dalla visione ombelicale che solitamente appesta il meta-cinema, preconizzando il futuro dell’era digitale, della visione in streaming dei film sui telefonini, della definitiva dissoluzione della centralità mediatica della fu settima arte nella formazione dell’immaginario collettivo e di un pubblico di massa.

Infatti nel suo racconto di un regista in crisi alla prese con il suo ultimo film, The other side of the wind non si limita a confondere arte e vita, verità e apparenza, colore e bianco e nero, ma a ragionare, attraverso la morte del cinema, sulla morte di un’idea di civiltà di società, di mondo. Nel magma caotico delle inquadrature spesso rapidissime emerge molto di più di una satira al vetriolo sul mondo del cinema e i suoi personaggi, con tanto di storpiature di nomi e battute perfide del jet-set dell’epoca, ma riflette sulla natura stessa della visione, sfidando Welles alcune delle sue celebri idiosincrasie – il protagonista gira un film erotico e Welles riteneva che il sesso e la morte non potessero essere filmati; lo stile a tratti ricorda i nipotini della Nouvelle Vague con cui aveva un rapporto assai ambivalente – per reinventarsi e spiazzare innanzitutto se stesso forse, prima ancora che il supposto pubblico.

Grazie all’aiuto di fidi collaboratori e delle annotazioni che aveva lasciato, oltre a un premontaggio di una quarantina di minuti, con The other side of the wind Welles ci regala un saggio di montaggio alternato e parallelo, con accelerazioni furiose che portano alle estreme conseguenze la frantumazione e la frammentazione del tempo e dello spazio filmico. In questo ritratto acido e monumentale, il grande Orson si dimostra spietato verso se stesso e l’universo cinema, ma non risparmia nemmeno il pubblico: è solo un’intuizione, all’interno di un’opera così complessa da richiedere molteplici visioni, ma in quel film nel film proiettato e continuamente interrotto sembra che il regista sin dal 1970 avesse previsto quale funerea direzione avrebbe preso il cinema e il suo rapporto col pubblico. Le immagini sbiadiscono fino a dissolversi in un Nulla, ma come afferma uno dei tanti personaggi di quest’opera colma di doppi e di mascheramenti, di dissimulazioni ed occultamenti: “Cosa ci farete con tutte quelle riprese? Ci metterete anni, mentre noi alla fine avremo un film. Un film!“. E pazienza se la gran parte del pubblico lo vedrà su un pc, tra un like su Facebook e un commento su Twitter: i film restano, per chi ha occhi per abbeverarsi. In attesa di tempi migliori.