L’edizione di Prologo alle tenebre di Carlo Bernari che ho letto fa parte della collana la “Medusa degli Italiani”, editata dalla Mondadori, anno 1947, 430 pagine, prezzo di copertina 500 Lire. Quivi, tra l’altro, l’editore specifica: “EDIZIONE PROVVISORIA. Le enormi difficoltà tecniche e di approvvigionamento di materie prime ci costringono a rinunciare, per il momento, a quella cura e perfezione tipografiche che sono tradizionali della nostra Casa”. Io l’ho trovata una buona edizione con pochi refusi, anche la qualità della carta è ottima.
Carlo Bernari è stato uno scrittore napoletano di origini francesi, Bernard il suo vero cognome, proveniva da una famiglia piccolo borghese e si formò per suo conto leggendo molto e frequentando i circoli antifascisti partenopei, descritti nei minimi dettagli nella parte seconda di questo libro, “Il segreto di Andrea”, dove fa un’efficace e precisa ricostruzione dei quadri clandestini del partito comunista durante il ventennio fascista. La memoria evidentemente era ancora fresca: questo libro fu scritto infatti tra il 1943 e il 1946. La sua prima opera, tra l’altro, Tre operai, pubblicata nel 1934 in una collana di giovani scrittori, suscitò un putiferio di polemiche letterarie da sinistra a destra, divenendo per un periodo il libro maggiormente tradotto su tutte le riviste antifasciste d’Europa e giunse addirittura sulle pagine della Pravda e alla radio russa che lo definì “uno dei pochi sintomi di narrativa proletaria in Italia”, mentre da noi se ne occupò personalmente Mussolini che lo censurò.
Napoli, un intreccio di segreti e la sua resistenza
Prologo alle tenebre venne scritto a Napoli, sotto le bombe e, nonostante il titolo, può essere considerato il primo romanzo non prettamente organico dello scrittore comunista Bernari; sia dal punto vista letterario che ideologico, questa sua opera è molto più inclusiva e completa. Dalle sue pagine emerge una suggestiva interpretazione dell’individuo che, a prescindere dalla sua classe sociale di appartenenza, appare da un lato sempre condannato dalla società, e dall’altro, portato per vizio a perdersi dietro ai suoi “segreti”, che gli fanno mancare una visione completa del mondo e di conseguenza la possibilità di costruirne uno migliore.
Il segreto del libraio Eugenio che avrebbe voluto essere un rivoluzionario; il segreto dell’operaio Andrea che aderisce al partito comunista; il segreto di Bianca la borghese che a tutti i costi, con l’arte o con la politica, desidera uscire dalla sua classe sociale di appartenenza; il segreto di Don Placido il vecchio cameriere pazzo. Infine, il segreto del nobile Marchese la cui unica preoccupazione è mangiarsi l’intero patrimonio e non lasciare niente a nessuno. Tali segreti si intrecciano in una Napoli violata dalla guerra e dal fascismo. Una Napoli che paradossalmente nel dramma bellico torna a essere una capitale europea grazie all’arte di questo suo figlio non molto ricordato come spesso viene dimenticato che le 4 giornate furono il primo atto di resistenza contro l’occupazione nazi-fascista.
Da questo romanzo, il fascismo ne esce distrutto perché messo a nudo per quel che è: la dittatura si nutre di vite, le apre, ci entra, rovista, la dittatura è la scorciatoia dei pigri, dei nullafacenti, della gente che non ha né arte né parte ecco perché l’aristocrazia, sotto la dittatura, si è trovata benissimo, anzi è riuscita a curare quel suo atavico problema: la noia.
Prologo al paese che verrà
A parte la robusta struttura narrativa, la vasta galleria di personaggi che convincono, a prescindere dal ruolo che hanno, gli svariati colpi di genio durante molti snodi della storia (ad esempio, la storia del figlio immaginario di Don Placido è straziante), ci sono delle piacevolissime pagine che potrebbero essere perfettamente considerate lo specchio di questi giorni nostri così bizzarri o meglio potrebbero spiegare quel “motore di presunti intellettuali e uomini di cultura” che ha portato ai porti chiusi e alla vergogna dei citofoni. Oggi il mercato ha trasformato in prodotto qualsiasi cosa, anche l’ideologia. Ce ne sono in giro di ciarlatani che prendono un po’ a sinistra e un po’ a destra per mettere su teorie delle più improbabili per spiegare il niente e ideologie delle più confuse per vendere libri. Ecco perché riporterò la pagina 407 che a mio avviso è attualissima.
Il marchese ogni anno per il suo onomastico offre un pranzo a parenti, amici e lacchè. Siamo sotto le bombe, la guerra sta sbarcando in Italia; quindi in una Napoli piegata dagli eventi bellici, dove veramente la gente sta morendo di fame e di bombe, c’è questa tavolata in cui è possibile trovare ogni tipo di leccornia e di esemplare umano, e scoppia – è il caso di dirlo – una discussione anche violenta sul governo e su di “lui”. Alcuni dei presenti (ci sono anche spie dei servizi segreti) professano apertamente la loro fede democratica e comunista, comunque liberale e antifascista, poi finito il pranzo avviene questo dialogo tra il libraio (l’io narrante dietro cui si nasconde l’autore) e la duchessina che per quel che ha detto al tavolo non si capisce bene che idee abbia in testa:
“Sicuro”, completò lei, “credo che solo noi latini, modellandoci sullo spirito teutonico, potremo realizzare il vero comunismo … perciò ho fiducia in Hitler e in Mussolini”. “Oh …”, ebbi appena il coraggio di esclamare naufragando in pieno in quella confusione, “Perciò a tavola …”, “Già, perciò a tavola dicevo che anche noi dovremmo assorbire un po’ meglio il comunismo come sta facendo la Germania” cominciò la ragazza preparandosi al suo lungo discorso (Studiava economia e commercio – seppi dopo – ed era una seguace degli attualisti gentiliani che si sforzavano a conciliare le più contraddittorie ideologie). (…) “E tuttavia è logico che Hitler faccia la guerra alla Russia. Solo con una guerra Hitler può assicurare all’Europa di aver sconfitto, abbattuto tutte quelle forme reazionarie che si sono sviluppate nel bolscevismo …”, “Sicché”, ebbi ancora il coraggio di domandare, “Hitler sarebbe il vero rivoluzionario?”, “Sicuro! (…) ” disse la ragazza rossa in volto, eccitata dal suo facile trionfo.
Prologo alle tenebre di Carlo Bernari fu finalista alla prima edizione del Premio Strega del 1947, ma dovette confrontarsi con Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, che vinse. Poi c’era il best-seller internazionale elogiato anche da Ernest Hemingway, Il cielo è rosso di Giuseppe Berto (lo scrisse nel campo di concentramento di Hereford, Texas, dove era prigioniero assieme a un altro grande romanziere, anch’egli del tutto dimenticato, Dante Troisi di Tufo, Avellino). In gara anche L’età breve di Corrado Alvaro, e poi Elio Vittorini, Carlo Levi, Libero Bigiaretti, Gianna Manzini, Enrico Pea… Insomma, si dovette misurare con i più grandi del tempo.
Il romanzo oggi è fuori catalogo, ma facilmente reperibile online, di seconda mano, per pochi euro.