Una bella antologia raccoglie le storie e i luoghi poco raccomandabili del nostro paese, dai suburbi delle città industriali del Nord, alle campagne infestate di briganti del Mezzogiorno.
Talvolta passando in rassegna i libri di una fornita biblioteca alla quale per immeritata fortuna ci accostiamo, capita che un titolo e una copertina risultino più attraenti degli altri.
La mala Italia – Storie nere di fine secolo (Rizzoli, ’73), a cura di Ernesto Ferrero, è dotato di una coperta ad effetto: il ritratto del corpo robusto di un uomo ricoperto di tatuaggi posto sotto un arco in cui sono incorniciati ceffi di malavitosi, ognuno rigorosamente con “sfregio” di riconoscimento.
Questa è la classica pubblicazione che ci apre le porte di un mondo sul quale la storia insegnata sorvola; eppure sono storie e fatti che erano quotidiano delle città italiane, verso la fine del secolo XIX. Per intenderci quel quotidiano che usavano narrare, un po’ incompresi, gli artisti “scapigliati”, dalle esistenze dannate; narratori ai quali non riuscì di scalzare le poetiche artificiose ed estetizzanti o le pedanterie nazionalistiche della cultura ufficiale.
Cultura popolare contro paternalismo delle classi dominanti? No, questo volume non si spinge a tanto; ed è questo il suo pregio: questo volume va oltre: ripercorre un pezzo di storia sotterranea, facendo raccolta di una serie di brevi ma incisive cronache dell’epoca, firmate da alcuni esperti della materia.
I luoghi della criminalità milanese e di altre “capitali” d’Italia
Uno dei più noti era Paolo Valera, milanese, giornalista fondatore del settimanale La Folla e soprattutto autore di Milano sconosciuta (1879), un vero e proprio viaggio dantesco nei bassifondi del capoluogo lombardo, in cui egli “si abbandona alla materia narrata con impeto e con una partecipazione che talora non escludono il compiacimento”.
Valera non aveva né ribrezzo, né tema di cacciarsi in certi luoghi sudici, nei postriboli, o, ad esempio, nei dormitori ove i criminali si rifugiavano la notte per evitare alle già provate e numerose famiglie le frequenti irruzioni delle guardie. Tra questi luoghi colpisce in particolar modo l’insana Locanda Berrini: “Almeno tre sono le figure indimenticabili […]: il proprietario Berrini, sornione, bassotto, cranio a boccia, capace di cavare dal suo letamaio una fortuna che gli sarà poi mangiata dagli avvocati; i due amanti di nottata avvinti in un sol corpo […]; l’ex delegato di pubblica sicurezza, espulso per ubriachezza, il ‘brutto muso’ che da aguzzino si è trasformato in compagno…”
Mentre a Firenze c’è Jarro (Giulio Piccini), più moralista e meno dotato in quanto a capacità rappresentative – seppur buon conoscitore della “scuola dei borsaioli”. A Napoli abbiamo Abele De Blasio, non a caso fondatore e direttore del lombrosiano Ufficio antropometrico della Regia Questura; che divenne grande esperto di posti malfamati. Nei suoi reportage sulla realtà carceraria e sulla prostituzione si legge un po’ quella tendenza a travestire da interesse antropologico il voyerismo e la curiosità che poi fece di questi scritti un sottogenere molto popolare. Si vedano anche le pagine dedicate ai costumi sessuali sregolati (“La tarantella erotica” e “Il matrimonio tra uomini”).
Paiono tuttavia oltremodo illuminanti le parti che riguardano la camorra, la cosiddetta “bella società rifurmata”, e il modo in cui riti e codici che ne determinavano la compattezza, si formassero anche e soprattutto nell’abito delle camerate carcerarie. Una bella teoria di termini dialettali contraddistintivi (alcuni dei quali ancora in voga, come “paranza”), tecniche di sfregio e tatuaggio fanno da colorita cornice a sanguinosi duelli, e ad eventi epocali come il funerale regale del boss Ciccio Cappuccio, “ex-re dei guappi”.
In generale le cronache del Mezzogiorno parlano soprattutto di delitti legati alla superstizione e all’eccessivo fervore religioso (vedi “Il dramma di Mezzojuso”, Sicilia) e di sanguinose guerre tra briganti, mafiosi e regi carabinieri: sono storie di tradimenti e massacri, come nel caso delle “Ultime gesta della banda Maurina” – che tenne banco sulla stampa e nei tribunali.
Modelli letterari e giudizi frettolosi
Alcuni miti letterari aleggiano, come quello del poliziotto e avventuriero balzachiano Vidocq, che i delegati alla sicurezza amavano citare. Ma su tutto s’innalza il mito del “criminale nato”, in cui i seguaci del positivista Cesare Lombroso, sulla base di una casistica pseudoscientifica, condensavano in summa una serie di credenze popolari, più o meno larvate. Come giudicare altrimenti l’episodio dell’antologia a firma di Lombroso e G. Ferrero intitolato “Criminali nate e ree per passione”, estratto da La donna delinquente (1893), campionario di grottesca misoginia da Grand Guignol e fantasie de sadiane?
Il curatore della raccolta fa un azzardato parallelo cinematografico: “Velleitario come scienziato, Lombroso era senza saperlo un piccolo Buñuel pateticamente chino sugli alambicchi di una impossibile antropologia filosofale”. (A noi volendo stare nel parallelismo e nell’attualità è invece venuto in mente l’aberrante background di un film violentemente misogino come Antichrist di Lars Von Trier).
Nella Prefazione a La mala Italia, Leonardo Sciascia cita le “ex-capitali d’Italia”, divenute nel loro tessuto un coacervo di tutte le forme di precarietà possibili, per vari motivi; ma su tutte una, quella segnata da una tragica continuità, presa a simbolo di quel mondo in cui le strutture criminali continuano a sopravvivere e a radicarsi più che altrove: “E prima tra tutte, la più popolosa e in maggior misura degradata, Napoli: e dove più la miseria e il vizio di sé s’appagano, e si esaltano, e si stordiscono; come lasciando ogni speranza, e precorrendo un più vasto mondo senza speranza quale sarebbe stato, di una diversa e nuova miseria, quello del benessere”.
Un giudizio in parte da ricalibrare, a mio avviso, questo del “primato” napoletano, dal momento che dal 1973, con maggior evidenza, le grandi capitali italiane hanno confermato quella tragica continuità di attitudine criminale, se non di miseria, a cominciare da Milano.