Le cinque rose di Jennifer, torna sul palco del Bellini

È il primo martedì d’ottobre, quello che mi accompagna in una Napoli affollata di turismo mentre, a passo svelto, mi dirigo al teatro Bellini, con quel piccolo ritardo che è tratto caratteristico di tutte le mie giornate; quel ritardo che nonostante tutto mi fa essere puntuale al mio appuntamento con Jennifer e le sue cinque rose, con la mia poltrona numero sette, fila N, alla quale resterò incollata tutta la sera in compagnia di un universo di sensazioni che mi faranno riempire gli occhi di lacrime, curvare le labbra in dolci sorrisi, riempire la gola di esclamazioni soffocate, con lo stomaco stretto e il cuore in accelerazione.

Pochi minuti, le luci si spengono e il brusio in sala tace immediatamente. Si va in scena. 

Si, perché, è in maniera del tutto inconsapevole che mi ritrovo nella penombra di una casa, in via del Cespuglio, nei quartieri spagnoli di Napoli, dove abita Jennifer, protagonista del nostro dramma.

È un uomo, almeno negli abiti che indossa, quello che chiude la porta alle sue spalle e fa il suo ingresso rocambolesco in un monolocale disordinato, sul cui tavolo campeggia un telefono che squilla a ripetizione. Ed è un balzo disperato quello che fa per rispondere, nella speranza che dall’altro capo ci sia Franco, l’uomo di cui è perdutamente innamorato e dal quale aspetta ancora una chiamata.

È un uomo dicevamo, o presunto tale, perché è solo dopo aver fallito il tentativo di risposta a quella prima telefonata che, cantando amabilmente, si libera delle formalità a cui la vita esterna ancora lo costringe, rivelando un body di pizzo rosa, nascosto sotto gli abiti maschili, e riportando alla vita la sua natura più vera: Jennifer. 

E Jennifer è donna, teneramente, capricciosamente, estremamente ed incredibilmente donna. 

Lo è nelle movenze, nella voce leggermente stridula che si addolcisce e inasprisce a seconda delle occasioni, lo è in quei repentini cambi d’umore che mutano ad ogni telefonata iniziata e finita.

È una sublime quanto magnetica interpretazione quella di Daniele Russo, che porta in scena un’intensa, angosciante, irriverente, drammatica e ironica Jennifer. 

Il destino si sa è beffardo ed è così che per un gioco crudele, il telefono continuerà a squillare ma non sarà mai il suo Franco a chiamare, visto che per una ‘interferenzia’ le linee telefoniche si intrecciano e le chiamate non arrivano mai alla giusta destinataria.

Volteggia la Jennifer di Daniele Russo, balla, canta, ride e piange, sistema le cinque rose rosse in un vaso sul tavolo, si cambia d’abito, spruzza profumo sui cuscini e nella stanza, correndo qui e là a ritmo di musica; si trucca e si strucca e parla, da sola o al telefono con degli sconosciuti ai quali si racconta ogni volta un po’ di più, rivelando così tutta la tristezza di una vita passata in solitudine. 

L’unico contatto con il mondo esterno, oltre a quel telefono che a volte resta muto, è una radio che scandisce lo scorrere del tempo e che, sintonizzata sulle frequenze di Radio Cuore Libero, canta l’amore tormentato con le incredibili voci di Mina, Patty Pravo e Ornella Vanoni. 

Di tanto in tanto il palinsesto musicale si interrompe per gli aggiornamenti sul killer dei travestiti. Si tratterebbe di un maniaco che si aggira per il quartiere, che si intrufola nelle case dei femminielli e li uccide, lasciando sul corpo esanime cinque rose rosse. 

Jennifer sembra non fare caso alla minaccia che inevitabilmente incombe sulla sua vita, non sembra fare caso alle cinque rose rosse nel vaso sopra il tavolo, non sembra farci caso, intenta com’ è ad ingannare il tempo in attesa della chiamata del suo Franco. 

Eppure, fin dal suo ingresso in scena, Jennifer ha mostrato una natura ambivalente, una natura a cui il regista, Gabriele Russo, ha voluto dare corpo e vita portando sul palco una figura evanescente che ha le sembianze di uno spettro. Quest’anima, che si aggira silenziosa per la scena e che replica le azioni di Jennifer in simultanea, sembrerebbe rappresentare una sorta di alter ego o meglio il suo lato oscuro, quello più angosciato e disperato, che lotta ogni giorno con il senso di solitudine e di inadeguatezza e che mima tutta la sua disperazione per le notizie alla radio.

Assistiamo cosi a brevi sequenze in cui le luci si abbassano, la musica riempie la stanza, i movimenti si dilatano e le due facce della stessa medaglia si incontrano, ora faccia a faccia, ora fianco a fianco, replicando l’una i movimenti dell’altra, in un intenso momento claustrofobico in cui anche a noi sembra di restare in apnea. 

La vita di Jennifer è un continuo tormento tra quello che vorrebbe essere e l’immagine che sente di dover dare agli altri ed è per questo motivo che quando incontra Anna, il travestito della porta accanto, mette in atto tutta una serie di comportamenti tipici delle donne di famiglia, riportando un’immagine di sé ben lontana dalla realtà.

A dare corpo, voce e gesti ad Anna è un grandioso Sergio Del Prete che passa da uno stato d’animo all’altro con indiscutibile credibilità, la sua entrata dapprima mite e amichevole si trasforma in un crescendo di rabbia e disperazione che riesce ad incutere un vero terrore negli occhi e nella mente di Jennifer. 

Gabriele Russo firma, con impareggiabile maestria, la regia del capolavoro di Annibale Ruccello e, pur inserendo nella scena la figura misteriosa che fa da sfondo a tutto lo spettacolo, riesce a intesserne le trame amalgamandosi e confondendosi armoniosamente con il testo originale. 

L’interpretazione di Daniele Russo è incredibilmente ipnotica, la sua Jennifer è, al tempo stesso, appassionata e disperata, euforica e malinconica ed è triste, sola e terribilmente fragile; è il simbolo di ogni forma di diversità, che vive in bilico tra ciò che è realmente e ciò che il mondo vuole vedere.

Eppure è difficile quanto mai necessario, ammettere che nonostante siano trascorsi più di quarant’anni dal debutto dell’opera e nonostante la progressiva apertura verso la multidimensionalità’ della sessualità, la nostra società risulta ancora eterossessista ed eteronormativa.

La morte di Jennifer è dunque, l’inevitabile conclusione a cui Ruccello ci ha preparati minuto dopo minuto ma che lascia ugualmente l’amaro in bocca, l’incredulità nella testa e nel cuore un senso di vuoto e di abbandono su cui cala, inesorabile, il sipario!

 

Crediti:

Le cinque rose di Jennifer
di Annibale Ruccello

regia Gabriele Russo

con
Daniele Russo Jennifer
Sergio Del Prete Anna

scene Lucia Imperato
costumi Chiara Aversano
disegno luci Salvatore Palladino
progetto sonoro Alessio Foglia

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini