Lawrence Carroll e la necessità dell’Arte. Al MADRE di Napoli

Un’opera d’arte totale dall’inizio alla fine. Così Gianfranco Maranello definisce la mostra di Lawrence Carroll che ha curato al MADRE – Museo D’arte Contemporanea Donnaregina, in collaborazione con l’Archivio Lawrence Carroll.

In linea con la concezione dell’artista, che non ha mai pensato le sue esposizioni come selezione di lavori ma piuttosto come dialogo con gli spazi che le opere avrebbero abitato, le sale ospitano tele, sculture, installazioni che non seguono un ordine cronologico, ma sono allestite specificamente per gli spazi del Museo, mantenendo vivo il rapporto con la contingenza.

Il Madre di Napoli ha deciso di dedicare la prima grande retrospettiva museale a Lawrence Carroll a tre anni dalla sua scomparsa e l’ha presentata in un’affollata conferenza stampa a cui, oltre ad Angela Tecce (presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee), Kathryn Weir (direttrice del MADRE), Gianfranco Maranello e Lucy Jones Carroll (vedova dell’artista e rappresentante dell’Archivio Lawrence Carroll) era presente, in rappresentanza del Cda della Fondazione, anche Achille Bonito Oliva.

Nelle sale sono riunite circa 80 opere realizzate tra il 1985 ed il 2019: dalle cancellazioni alle stesure monocromatiche, passando per le sue fotografie (esposte precedentemente solo alla Fondazione Rolla in Svizzera) ed alcuni disegni inediti, i cosiddetti black drawings.

Le tematiche ed i riferimenti di Lawrence Carroll alla pittura a lui contemporanea ed ai suoi protagonisti come Jasper Johns, Robert Ryman, Ad Reinhardt e soprattutto a Robert Rauschenberg, Marc Rothko, Donald Judd, Sean Scully ed all’amato Giorgio Morandi, si intravedono chiaramente nella sua produzione, ma la sua ricerca va nella direzione di una riflessione sulla pittura e dell’azione creatrice del dipingere.

La superficie del quadro trattata con la sola preparazione, tagliata, cucita, abitata da oggetti organici o inorganici, illuminata da flebili lampadine a contatto o sospese, ridefinisce di volta in volta il significato della “pittura” per Carroll. E lascia aperto l’interrogativo sulla sua posizione nei confronti della realtà e della sua solitudine di fronte al mondo che ha creato. Le sue opere testimoniano una profonda riflessione interiore, basata sulla costante indagine sull’esistenza e sulla necessità che l’umanità ha dell’arte.

Chi era Lawrence Carroll

Nato a Melbourne nel 1954, ma emigrato negli Stati Uniti a quattro anni con la famiglia, Lawrence Carroll è stato un pittore iconico e nomade. Cresciuto e formatosi in California, grazie ad una borsa di studio riesce a frequentare l’Art Center College of Design di Pasadena. Negli anni Ottanta si trasferisce a New York, il centro della scena artistica internazionale, dove tra la storicizzazione della Pop Art e l’esaurirsi dell’Espressionismo Astratto e del Minimalismo, Lawrence Carroll trova la sua strada.

Lawrence Carroll

Nel 1988 tiene la sua prima mostra personale e l’anno successivo il curatore Harald Szeeman lo invita ad Amburgo per Einleuchten, una collettiva cui partecipano anche artisti del calibro di Joseph Beuys, Bruce Nauman e Robert Ryman. Da quel momento la sua presenza in Europa diventa frequente: nel 1992 viene invitato a documenta IX a Kassel e nel 2013 partecipa alla prima volta del Padiglione Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia con Freezing painting, un dipinto congelato con 800 chili di acqua. Nella città lagunare, su invito della storica dell’arte Angela Vettese, tiene per la prima volta un corso come docente di pittura presso lo IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia). Nel 1995 espone per la prima volta a Napoli con lo Studio Trisorio, insieme a John Millei.

Personalità schiva rispetto all’aspetto glamour dell’arte, con i suoi vernissage e le sue feste, Carroll ha attraversato quasi in sordina la seconda metà del Novecento, dipingendo, viaggiando, visitando musei e mostre di pittura. È mancato improvvisamente nel 2019.

La mostra al MADRE

Percorrendo le sale del MADRE dedicate alla mostra Laurence Carroll sembra di immergersi nelle pieghe dei pensieri e delle riflessioni dell’artista.

A cominciare dall’uso di un non-colore, dato che le stesure di bianco sono formate spesso da diversi strati della preparazione della tela e non coprono la superficie, ma la stratificano e svelano talvolta frammenti di giornali o altre immagini. Le tele conservano il processo quindi che le ha prodotte. Le sue riflessioni pittoriche si fanno parole che corrono veloci di sala in sala, un contrappunto testuale che consegna ai visitatori la voce stessa dell’artista.

Lawrence Carroll

Cercai un colore che fosse il più possibile simile a quello della tela e cominciai semplicemente a stenderlo così da cancellare, in qualche modo, me stesso. Volevo creare un nuovo luogo per ricominciare. Volevo iniziare di nuovo, in un modo diverso.

I suoi numi tutelari, Marc Rothko e Robert Rauschenberg, rientrano nella sua esplorazione della memoria, così come l’affinità con la sensibilità di Giorgio Morandi con il quale condivide il gesto nello svelare la complessità nascosta nell’apparente semplicità degli oggetti quotidiani, il sottile senso di inquietudine degli spazi votati al silenzio in una perpetua sospensione temporale.

Lawrence Carroll
dav

In modo quasi banale mi ero messo a tagliare un piccolo “box painting” per ridurlo. Proprio come si taglia una fetta di pane, tagliai il lato destro del quadro. Poi la forma mi sembrò sbagliata e così ricomposi il dipinto. Quel che scoprii era la bellezza della linea che il taglio aveva creato. Avevo così trovato un modo per portare il disegno nella mia pittura

Accanto alle tele stratificate, si susseguono i Cut painting in cui Carroll taglia e ricompone fisicamente pezzi di tavola o di tela a volte persino con una pinzatrice, come a lasciare una cicatrice sul dipinto, traccia evidente della processualità che ha condotto all’opera. Ugualmente, sulla superficie trovano posto fratture della pittura, la polvere dello studio, oggetti e strumenti del mestiere.

Il processo di produzione dell’opera diventa estremo nella serie delle opere “congelate”: i Freezing boots (le scarpe dell’artista, congelate) ed i freezing paintings sono la rappresentazione plastica della natura morta, che fissa un istante nel tempo.

Lawrence Carroll Freezing Boots

Ma allo stesso tempo sono anche manifestazione del processo di realizzazione dell’opera, un processo trasparente ed opaco allo stesso tempo, che rispecchia pienamente attitudine progettuale dello stesso Carroll.

Mi piaceva l’idea di un quadro come fosse un luogo. Un luogo in cui entrare, da occupare, dove scaricare qualcosa che stavi portando con te. Una sorta di corpo.

Alcune installazioni, come il Closet, sono dei dipinti popolati da oggetti. Come dice la parola stessa, si tratta di un armadio, in cui sono sistemate le cose più disparate. Incluso un paio di scarpe che Carroll chiese in regalo a Rauschenber e utilizzò nel suo studio prima di renderle eterne nel dipinto.

Ancora le scarpe ritornano insieme ad un ciuffo di edera, nell’opera che omaggia il padre malato, come simbolo di un abbraccio. E talvolta i calchi delle sue mani o delle scarpe costruiscono dei peculiari “autoritratti”.

Incominciai a usare le lampadine nelle mie opere. Una piccola luce da studio poteva essere collocata vicino a un mio quadro, oppure messa a riposare sul pavimento sotto il dipinto. Un dipinto in scala ridotta che sembrava una piccola tenda, aperta alle due estremità, con la luce posta nel mezzo. Mi piaceva il modo in cui il quadro mi appariva. Era sveglio e attivo. Dava forma alla sua stessa ombra, mentre in altri momenti sembrava immerso nell’oscurità. Stava dormendo in qualche modo e forse mi sognava.

Nelle ultime sale del percorso, si incontrano opere che presentano delle lampadine sospese e, in un caso, la tela fa da copertura ad una luce che irradia dal pavimento.

Lawrence Carroll

Accanto a queste, i black drawings, dei disegni inediti e le fotografie esposte nel corso della sua ultima mostra (l’artista è mancato a distanza di tre giorni dall’inaugurazione) in Svizzera alla Fondazione Rolla realizzate a seguito di un viaggio attraverso gli Stati Uniti d’America dove era tornato a vivere per alcuni mesi all’anno dopo anni di assenza.

Come nei dipinti, nelle foto spiccano alcuni elementi peculiari, dettagli che si stagliano su un fondo che, come le velature monocrome delle tele, è quasi una suggestione.

Alla fine il quadro ha preso qualcosa da me.
Ciò che è ora vive nel quadro e quel quadro ora vive fuori di me.

Lawrence Carroll
a cura di Gianfranco Maraniello
25 marzo – 5 settembre 2022
Madre – Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina, Napoli
Via Settembrini, 79 – 80139 Napoli
Lunedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì e Sabato dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00 – L’ultimo accesso è un’ora prima della chiusura
Martedì: giorno di chiusura settimanale
081.19528498 – info@madrenapoli.it