La fabbrica bestiale
Qualche anno fa ci siamo occupati di un argomento molto serio e purtroppo negletto: quello della condizione carceraria. Argomento che potremmo oggi senza forzatura arricchire parlando della condizione di coloro che commettono un reato che si chiama “clandestinità”. Aggiungiamo un altro tassello nel nostro viaggio nella letteratura contempranea e a quella serie di articoli: il pretesto viene da un bel romanzo uscito precisamente quaranta anni fa.

Edward Bunker è stato una “testa calda” della letteratura: nato in California nel ’33 e scomparso dodici anni or sono, questo scrittore – ma anche sceneggiatore, e attore (lo ricordiamo tra l’altro nei panni di Mr Blue ne Le Iene) – è entrato nel novero dei più importati autori degli ultimi decenni, passando dalla branda di una cella alla macchina da scrivere.
Centrale nella sua opera è l’esperienza carceraria, che gli ha marchiato la pelle, l’anima e la vena. Dopo il riformatorio Bunker entra giovanissimo in una delle prigioni più famose degli Stati Uniti, San Quintino.
Qui ha modo di conoscere a fondo i meccanismi mentali e burocratici che governano una delle istituzioni più dure che uno stato moderno abbia mai costituito: lo scopo non è quello di redimere e correggere, ma di escludere le mele marce e lasciarle cucinare nel loro brodo. Il risultato è che questi luoghi sono diventati una fabbrica di animali pericolosi.
In diverse opere Bunker ha toccato l’argomento, ma una di quelle in cui alcuni dei concetti appresi in prigione sono espressi meglio è senza dubbio il suo secondo romanzo, intitolato The Animal Factory.
Pubblicato nel 1977, è la storia di un giovane di buona famiglia, ma dedito allo spaccio di marijuana (perché ossessionato dall’idea di far soldi), che si chiama Ron Decker; arrestato, viene condannato a scontare una lunga pena detentiva a San Quintino. Oltre a essere molto giovane, istruito, di buone maniere, Ron è anche piuttosto bello: vi siete mai chiesti cosa può succedere in una prigione a uno così? Una prigione in cui finiscono criminali di ogni tipo, incarogniti dalla detenzione, che si aggregano in base all’appartenenza razziale, e che agiscono in base a impulsi lungamente e duramente repressi?
Bunker ci fa un quadro chiaro delle pieghe che può prendere il concetto di abuso, violenza e astinenza sessuale.

A San Quintino
Nel braccio di Ron c’è anche Earl Copen, pregiudicato di lungo corso, che è poi un po’ il vero protagonista della storia. Tra i due nasce una sincera amicizia. Copen rappresenta in effetti quello che potremmo definire un “criminale dal cuore d’oro”. Non che non si sia macchiato di reati molto gravi (è entrato e uscito per tutta la vita), ma l’età e le sue profonde convinzioni personali lo hanno portato, a questo punto, a fare scelte a un tempo sagge e altruiste. Per dirne una, di tanto in tanto si scatenano terribili guerre razziali, che culminano inevitabilmente in ammazzamenti e coltellate che qualche bravo chirurgo riuscirà forse a sistemare; Copen fa parte della famigerata Fratellanza bianca, tuttavia egli non è razzista, nel suo intimo non crede che i detenuti debbano combattere guerre che hanno l’unica conseguenza di rendere invivibile un luogo di sofferenza e privazione. Ma è forte in lui anche il senso della realtà, e della legge primordiale e feroce che regola i rapporti umani; il che lo spinge a mediare per quanto è possibile.
Il romanzo è ambientato negli anni Settanta; un periodo piuttosto buio, in cui si ha uno dei picchi della criminalità negli Stati Uniti. La lotta tra bianchi e neri è al massimo livello, dentro e fuori. La gestione degli istituti penitenziari esprime l’orientamento generale della giurisdizione americana a reprimere, prima di tutto. I secondini agiscono con violenza subdola. La gran parte dei condannati non ha nessuna speranza di riadattarsi alla vita libera. Anche Ron cade nella trappola, quando si pone in modo poco prudente contro la corte che sta riesaminando il suo caso; l’inasprimento del carattere è in atto, è una delle prime conseguenze della detenzione. È un po’ quello che succede a un animale in gabbia quando viene maltrattato.
Chi ha ancora un vero anelito di libertà non ha altra scelta che pianificare la fuga. Con tutto il nostro encomiabile attaccamento a una idea giustizia è difficile non fare il tifo per un uomo che cerca di fuggire da un posto così, soprattutto se a raccontarlo è uno scrittore come Bunker. Earl è la guida che tutti vorrebbero avere una volta dentro; egli conosce ogni cosa tra quelle mura, e nonostante un piano di fuga perfetto, ha la breve esitazione di chi si convince che in fondo, a San Quintino, lui è ancora qualcuno.