“Come scrittore europeo, ho scelto l’italiano per esprimermi perché è la lingua che più somiglia al latino (forse lo spagnolo è più somigliante, ma il pubblico di lingua spagnola è appena lo spettro di un fantasma). Un tempo tutta l’Europa parlava latino, oggi parla dialetti del latino.” (Da un intervista a Juan Rodolfo Wilcock).

Biografia
Juan Rodolfo Wilcock nasce a Buenos Aires il 17 aprile del 1919, da padre inglese, Charles Leonard Wilcock, e da Aida Romegialli, argentina, di origine italiana e svizzera. Studia ingegneria civile, ma la sua vera passione erano la poesia e la letteratura. A soli 21 anni vince diversi premi per alcune sue raccolte di poesia. Poi conosce tre eccezionali amici che gli cambieranno radicalmente la vita: Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges. Questi facevano parte dei cosiddetti “escritores de la llamada”, la “generacion del mediu siglu”.
Borges rappresentava il genio totale, ozioso e pigro, Bioy Casares l’intelligenza attiva e la Ocampo era tra quei due la sibilla e la maga, che ricordava loro in ogni sua mossa e in ogni sua parola la stranezza e il mistero dell’universo.
“Questi tre nomi e queste tre persone furono la costellazione e la trinità dalla cui gravitazione, in special modo, trassi quella leggera tendenza, che si può avvertire nella mia vita e nelle mie opere, a innalzarmi, sia pur modestamente, al di sopra del mio grigio, umano livello originario.”
Poiché era decisamente in contrasto col regime peronista, sinceramente democratico, negli anni ’50, a soli trent’ anni, decide di lasciare l’Argentina.
Vivere è percorre il mondo
Vivere è percorrere il mondo;
attraversando ponti di fumo
quando si è giunti dall’altra parte
che importa se i ponti precipitano.
Per arrivare in qualche luogo
bisogna trovare un passaggio
e non fa niente se scesi dalla vettura
si scopre che questa era un miraggio
(lirica da “La notte di San Giovanni”)
L’abbandono dell’Argentina
Juan Wilcock si stabilisce a Londra, dove ha lavorato come traduttore e come critico letterario, musicale e artistico della B.B.C. Nel 1955 Lascia il Regno Unito e si stabilisce definitivamente a Roma, dove insegnerà letteratura francese e inglese e collaborerà all’edizione argentina dell’Osservatore Romano.
E’ stato anche un ottimo critico letterario, e ha collaborato con tutte le riviste letterarie più importanti.
Notevole è stata la sua attività di traduttore dall’inglese in italiano, di Marlowe, Shakespeare, Beckett, in particolare. Traduce anche il Joyce dei Finnegan’s Wake, Per le strade di Londra di Virginia Woolf e dallo spagnolo Bioy Casares e Jorge Luis Borges; infine dal francese Jean Genet. Pubblica articoli vari, saggi, racconti, poesie, sulla rivista Tempo presente, e poi sul settimanale Il Mondo, di Mario Pannunzio. In questo primo periodo diventa amico della maggiore intellighenzia, da Nicola Chiaromonte ad Alberto Moravia, da Ennio Flaiano a Ginevra Bompiani; fino ad essere giudicato eccezionale figura di intellettuale enciclopedico.
Tutto il giorno
Tutto il giorno ho rincorso dentro di me
una corrente chiara come le sere d’estate;
l’acqua è verde e trasparente
tutto il giorno ti ho ricordato.
Vieni, siamo giovani, e qui passa l’amore
fluttuando fra la luna e il vento,
vieni, l’aria concede le tue labbra alle mie;
oh i salici, i salici pensosi!
(da Poesie, Adelphi 1980)
La cittadinanza post mortem
Nel 1975, Wilcock chiese la cittadinanza italiana. Morì il 16 marzo del 1978 nella sua casa di campagna di Lubriano nei pressi di Viterbo e solo nel 1979. Con decreto del Capo dello Stato, Sandro Pertini gli concesse la cittadinanza post mortem, era il 4 aprile 1979.
E’ stato intellettuale discreto e geniale e dall’ironia in agguato dietro ogni sillaba. L’insofferenza per ogni sorta di “frasi di circostanza”. Nonostante ciò è stato dimenticato per molto tempo. l’Enciclopedia Treccani gli ha dedicato un volume nel 2003 rendendo almeno in parte l’onore che spettava al più grande poeta “straniero” del Novecento che l’Italia abbia mai avuto .
È sepolto a Roma, nel cimitero acattolico vicino alla Piramide.

Da un’ intervista a Wilcock:
“Credo che se dovessi aiutare qualcuno a capire che sono o chi sono come scrittore rileverei due punti per me fondamentali: sono un poeta, appartengo alla cultura europea. Come poeta in prosa, discendo per non complicate vie da Flaubert, che generò Joyce e Kafka, che generarono noi (tutto ciò è da intendere allegoricamente, perché quelle persone rappresentano epoche, modi di pensare).”
“Flaubert fu il primo a consacrarsi alla creazione di un’opera puramente estetica in prosa.”
A mio figlio
Abbi fiducia nella vita
e non nelle ideologie;
non ascoltare i missionari
di quest’illusione o quell’altra.
Ricorda che c’è una sola cosa
affermativa, l’invenzione;
il sistema invece è caratteristico
della mancanza d’immaginazione.
Ricorda che tutto accade
a caso e che niente dura,
il che non ti vieta di fare
un disegno sul vetro appannato,
né di cantare qualche nota
semplice quando sei contento;
può darsi che sia un bel disegno
che la canzone sia bella:
ma questo non ha certo importanza,
basta che piacciano a te.
Un giorno morrai; non fa niente,
poiché saranno gli altri ad accorgersene.
(da Poesie, Adelphi, 1980)
Libri pubblicati in Italia da Juan Rodolfo Wilcock
Il caos, Bompiani, 1960. Fatti inquietanti, Bompiani, 1961; poi Adelphi, 1992. Luoghi comuni, Il Saggiatore, 1961. Teatro in prosa e versi, Bompiani, 1962. Poesie spagnole, Guanda, 1963. La parola morte, Einaudi, 1968. Lo stereoscopio dei solitari, Adelphi, 1972, 1990, 2017. La sinagoga degli iconoclasti, Adelphi, 1972, 1990, 2014. Il tempio etrusco, Rizzoli, 1973. I due allegri indiani, Adelphi, 1973, 2011. Parsifal, Adelphi, 1974. Italienisches Liederbuch, 34 poesie d’amore, Rizzoli, 1974. L’ingegnere, Rizzoli, 1975, L’Editore, 1990. Frau Teleprocu (in collaborazione con Francesco Fantasia), Adelphi, 1976. Il libro dei mostri, Adelphi, 1978, 2019. Poesie, Adelphi, 1980, 1993, 1996. L’abominevole donna delle nevi e altre commedie, Adelphi, 1982. Le nozze di Hitler e Maria Antonietta nell’inferno (in collaborazione con Francesco Fantasia), Lucarini, 1985. Il reato di scrivere, Adelphi, 2010.