Jack Kerouac – 3, Neal Cassady, Lucien Carr e Beatrice Kozera

(ATTENZIONE! NELL’ARTICOLO CONTENUTI ESPLICITI)

«Neal era figlio di un alcolizzato, uno dei vagabondi messo peggio di Larimer street  e in effetti Neal era cresciuto perlopiù in Larimer street e dintorni. Neal andava in tribunale a sei anni a supplicare che rilasciassero il padre. Mendicava all’imbocco dei vincoli di Larimer e portava di nascosto i soldi al padre che lo aspettava in mezzo alle bottiglie rotte con un vecchio compagno di sbronze. Crescendo Neal aveva cominciato a frequentare le sale da biliardo di Welton e aveva battuto i record locali di furti d’auto ed era finito in riformatorio. Dagli undici ai diciassette anni era stato più dentro che fuori. la sua specialità era rubare auto, rimorchiare ragazze fuori dalla scuola nel pomeriggio, portarle su in montagna, scoparsele e tornare giù a dormire nella prima vasca da bagno d’albergo che trovava in città», dalla traduzione del Rotolo del ’51 di Michele Piumini.
Neal Cassady e il padre sono le due figure più tragiche del libro, cui si contrappone, anche se non presente nel libro, la relazione che lo stesso autore aveva avuto con il proprio padre.

Neal Cassady, figlio della strada

La madre di Neal era morta quando lui era bambino, c’erano dei fratelli, ma erano figli della madre, pare quindi che il padre abbia tenuto con sé soltanto il figlio “legittimo”. Il padre di Neal un tempo era stato un rispettabile barbiere, che ben presto si era ammalato di alcolismo e questa malattia aveva travolto ogni cosa. Il padre caduto in miseria si era ridotto a fuggire l’inverno, viaggiando sui treni merci, un po’ come gli hobo di londiniana memoria, descritti in un libro dal titolo simile a quello di Kerouac, La strada, che tratta sostanzialmente della massa operaia licenziata in blocco che si mette in viaggio. Infatti, sono le cause del viaggio a differenziare gli anni della depressione dagli anni del boom. Anche se Kerouac accenna al primo tipo di viaggiatore, il barbone/hobo del ’29, nella traduzione di Piumini, in questi termini: «Durante la depressione… Saltavo sui carri merci almeno una volta al mese. A quei tempi vedevi centinaia di uomini che viaggiavano sui pianali o sui carri coperti, e non erano solo vagabondi, erano uomini di tutti i tipi senza lavoro che si spostavano da un luogo all’altro a volte senza neppure una meta. Era così in tutto il West

…Ebbene a mio avviso la vera descrizione del barbone della generazione dei boomer si trova a pagina 29 della traduzione di Piumini, è la microstoria di Big Slim Hubbard: «…Un vagabondo per scelta; da piccolo aveva visto un vagabondo chiedere a sua madre una fetta di torta, e lei gliel’aveva data, e quando il vagabondo si era allontanato lungo la strada il bambino aveva detto, “Mamma chi è quello?”, “Be’, è un vagabondo”. “Mamma, voglio fare il vagabondo da grande”. “Chiudi il becco, noi Hubbard siamo destinati a ben altro”.»
Qui è racchiusa a mio avviso una grande verità, che come tutte le verità è quasi sempre sotto il naso.

Neal cresce quindi in strada, i suoi primi – e forse al tempo in cui conobbe Kerouac unici – amici sono i ragazzi del biliardo. Un giorno giunge nella vita di Neal il signor Justin W. Brierly, un personaggio per davvero sui generis, che aveva speso quasi tutta la sua vita nello sviluppare le potenzialità dei giovani. Justin W. Brierly era stato l’uomo che aveva scoperto e aiutato Shirley Temple negli anni trenta, la enfant prodige del cinema americano, da noi conosciuta come Riccioli d’oro. Non era stato pertanto solo il giovanissimo Kerouac a capire che in Neal Cassady ci fosse qualcosa di speciale, ma anche un uomo, un intellettuale del calibro di Brierly. Lo stesso Justin W. Brierly doveva essere un uomo speciale perché oltre a insegnare inglese in una scuola secondaria di Denver, faceva l’avvocato, l’agente immobiliare e il direttore del Central City Opera. La storia di Neal a Brierly è la più buffa del libro, forse supera anche la micro saga su William Burroughs.

Pigmalioni

«Brierly era andato a bussare alla porta di un cliente; questo cliente non faceva che ubriacarsi e dare feste sfrenate. Quando Brierly bussò alla porta […] Neal, lacero e sporco perché aveva appena lavorato in un campo concimato nel Nebraska, era in camera a scoparsi la domestica. Neal corse ad aprire con l’uccello duro […] Brierly era puramente e semplicemente interessato ai giovani, soprattutto ai maschi. Li selezionava nelle sue lezioni di inglese; metteva a loro disposizione le sue straordinarie conoscenze letterarie; li seguiva con cura; li faceva studiare finché non ottenevano voti eccellenti; gli procurava borse di studio […] e loro tornavano a Denver anni dopo come prodotto della sua immaginazione – sempre con una pecca, l’avere abbandonato il vecchio mentore per i loro nuovi interessi […] aveva tirato su scienziati e scrittori e giovani politici di città, avvocati e poeti, con i quali non si stancava mai di parlare […]. In Neal aveva visto la grande energia che un giorno ne avrebbe fatto non un avvocato o un politico, ma un santo americano. Gli insegnò a lavarsi i denti, le orecchie; lo aiutò a ottenere strani lavori; e lo mandò a scuola. Ma Neal rubò subito l’auto del preside e la sfasciò. Fu spedito al riformatorio. Justin W. Brierly gli rimase vicino. Gli scriveva lunghe lettere per incoraggiarlo; chiacchierava con il direttore dell’istituto; gli portava libri; e quando Neal uscì, Justin gli diede un’altra possibilità. Ma Neal mandò tutto a monte un’altra volta. Ogniqualvolta i suoi amici del biliardo ce l’avevano con un poliziotto andavano da Neal per vendicarsi; lui rubava la volante e la sfasciava o comunque la danneggiava. Presto fu di nuovo in riformatorio e Brierly decise di lavarsene le mani

E qui viene la parte più esilarante. Allen Ginsberg impresta a Neal delle sue poesie da far leggere a Brierly facendogli credere che le avesse scritte lui, Neal. Brierly ci casca, lo vuole incontrare, ma all’incontro c’è anche Ginsberg che Brierly dimostra di conoscere come poeta nonostante Ginsberg non fosse ancora famoso. Brierly capisce l’imbroglio, forse comprende anche che tra i due c’è qualcosa, e scompare per sempre. Neal scrisse una autobiografia, The First Third, tradotta e pubblicata in Italia con il titolo I vagabondi. La sua morte, avvenuta nel 1968, è stata la più emblematica di tutta la storia della Beat Generation. Neal Cassady morì di freddo incamminandosi lungo i binari di una ferrovia dopo avere bevuto a una festa, voleva raggiungere a piedi la città più vicina. La sua vita era finita lì dove era iniziata, in strada. Neal Cassady era infatti nato l’8 febbraio del 1928 durante un viaggio dei suoi.   

On the Road, Robert Frank, fotografo autore di The Americans

Lucien Carr, trait d’union dei poeti beat

Nella vicenda di Brierly e Cassady, c’è l’eco di un altro fatto, la relazione tra Lucien Carr e David Kammerer, che portò all’omicidio di Riverside Park, che vide per l’appunto come protagonista il beat Lucien Carr (per intenderci il papà Caleb Carr, l’autore dell’Alienista). Kerouac aveva parlato di questo omicidio in La città e la metropoli e Vanità di Duluoz; Allen Ginsberg in The Bloodsong, poema mai terminato.

Lucien Carr era forse il miglior studente della Columbia University di quegli anni. Alla Columbia Carr conobbe Ginsberg, poi una ragazza di nome Edie Parker, la fidanzata di Jack Kerouac. Carr a sua volta fece incontrare Ginsberg e Kerouac – quest’ultimo al tempo aveva appena terminato la sua breve carriera di marinaio. E fu sempre Carr che fece entrare nel gruppo William Burroughs. Carr era pertanto alle origini del gruppo dei Beat la figura centrale e inoltre fu colui che introdusse Ginsberg alla poesia di Arthur Rimbaud. Erano solo quattro giovani studenti quando decisero di esplorare il ventre più lercio di New York. Lucien era visto dagli altri come una sorta di capo, lo ammiravano, lo imitavano. Fu Carr a imporre la teoria della “Nuova Visione”, presa dai bohémien parigini, che condizionò tutta la poetica e la vita dei Beat fino ai bohémien dei giorni nostri, riassumibile in tre punti: a) la nuda espressione di sé è il seme della creatività; 2) la coscienza dell’artista è ampliata dallo sconvolgimento dei sensi; 3) l’arte non è soggetta alla morale convenzionale.

C’era però una quinta persona, un amico di infanzia di William Burroughs con cui poi sui venti anni avrebbe viaggiato a Parigi, i due erano infatti i più vecchi del gruppo, avevano una quindicina di anni in più. Questa quinta persona era per l’appunto David Kammerer, l’insegnante di Lucien Carr. Burroughs aveva detto di Kammerer: “Era sempre molto divertente, la vera anima delle feste e completamente senza alcuna morale borghese”. David Kammerer si innamorò di Lucien Carr, il giovane studente divenne per lui un’ossessione. Carr dopo un po’ cominciò a evitarlo, cambiava scuola quindi anche Kammerer chiedeva il trasferimento e questo durò per cinque anni circa. A detta di Lucien Carr, “Mi perseguitava sessualmente con una persistenza predatoria che oggi sarebbe considerato stalking”.

Inoltre Kammerer era geloso, frequentava gli amici di Carr ma non voleva che Carr frequentasse loro. Una volta, preso dalla gelosia, tentò di impiccare il gatto di Kerouac. Quando Kerouac e Carr cominciarono a parlare di un viaggio su una nave mercantile per raggiungere Parigi, l’equilibrio psichico di Kammerer vacillò.

Nell’agosto del ’44 Kerouac e Carr tentarono l’imbarco, l’idea era di giungere a Parigi per assistere alla liberazione degli alleati, ma furono costretti a scendere, quindi andarono al bar, il mitico West End Bar, dove si sbronzarono. Kerouac lasciò il bar per primo e uscendo si imbatté in Kammerer il quale gli chiese dove fosse l’amico Carr, Kerouac glielo indicò e poi proseguì per i fatti suoi. Carr continuò a bere con Kammerer, poi uscirono dal West End Bar per fare due passi e finirono nell’Upper West Side di Manhattan, il Riverside Park. Non si sa con certezza cosa successe, la versione di Carr è sempre stata che Kammerer avesse tentato di stuprarlo, sta di fatto che Carr lo accoltellò, gli legò delle pietre alla cintura e lo gettò nel fiume Hudson.

Dopo l’omicidio Carr andò a casa di William Burroughs e gli raccontò tutto, questi gli consigliò di costituirsi, ma Carr lasciò casa sua per cercare Kerouac. Kerouac messo al corrente dell’accaduto, lo aiutò a disfarsi dell’arma del delitto che Carr aveva ancora in tasca, poi andarono al cinema. Solo a fine giornata Carr si recò dalla madre e con lei dalla polizia, che in un primo momento non volle credere al giovane, ma poi fu rinvenuto il cadavere. Kerouac e Burroughs furono arrestati. La famiglia di Burroughs pagò la cauzione, il padre di Kerouac invece si rifiutò, intervenne quindi il padre della fidanzata Edie, il quale in cambio chiese a Jack di sposare la figlia. Divorziarono dopo un anno, mentre Carr se la cavò con due anni di detenzione.
Il critico Bill Morgan ha inseguito spiegato che l’assassinio di Carr portò nel ’45 Kerouac e Burroughs a collaborare per un libro, And the Hippos Were Boiled in Their Tanks, pubblicato solo nel 2008 e divenuto film nel 2013 con il titolo “Giovani Ribelli- Kill Your Darlings” diretto da John Krokidas.

Dopo la detenzione, Lucien Carr trovò lavoro alla United Press International, dove lavorò fino al pensionamento; restò in contatto con Allen Ginsberg e fu uno dei pochi a rimanere vicino a Kerouac quando questi entrò in stato di demenza da alcolismo. È morto nel 2005 per un tumore alle ossa. 

Jack Kerouac e Lucien Carr.

The Mexican Girl

Se si scava però, sono sempre storie di donne.
Come detto, parte del libro di Kerouac tratta del viaggio intrapreso per Denver, cerca il suo amico Neal, non lo trova, quindi si sposta a San Francisco, qui lavora come guardia giurata, condividendo una baracca a Mill Valley con Henry Cru. Spedisce quasi tutti i suoi soldi alla madre, poi viene licenziato, allora va in autostop a Bakersfield, dove conosce una ragazza di Los Angeles, Beatrice Kozera, di origini messicane.
A detta degli studiosi di Kerouac, con la ragazza messicana lo scrittore trascorrerà i quindici giorni più belli della sua vita. Nel On the Road editato negli States e nella traduzione italiana del ’59 la ragazza è chiamata Terry. Nella realtà il suo nome era Beatrice Rentereìa, poi cambiò nome in Bea Franco. E lì dove finisce On the Road e comincia la vita della ragazza messicana, il suo nome diverrà Beatrice Kozera.

«Avevo comprato il biglietto e stavo aspettando l’autobus per L. A. quando all’improvviso mi passò avanti una splendida ragazzina messicana in pantaloni. Era scesa da uno degli autobus appena arrivati. I suoi seni puntavano in fuori diritti e sinceri; i fianchi erano minuti e deliziosi; i capelli lunghi e neri; e gli occhi due grandi cose azzurre con un’anima dentro
I due si videro per la prima volta alla stazione di Bakersfield, lui era seduto su di una panca quando Beatrice scese dall’autobus. Presero entrambi lo stesso autobus e fu allora che Kerouac trovò il coraggio di offrire il proprio impermeabile come cuscino.

«E cominciammo a raccontarci le nostre storie. La sua storia era questa: aveva un marito e un bambino. Il marito la picchiava così lei lo aveva lasciato, a Selma a sud di Fresno, e si trasferiva a L. A. dalla sorella per un po’. Aveva lasciato il bambino dai suoi genitori, che facevano i vendemmiatori e abitavano in una baracca nei vigneti. Lei non aveva altro da fare che rimuginare. Mi venne voglia di abbracciarla in quell’istante. Parlammo e parlammo. Disse che adorava parlare con me […] e allo stesso modo fu silenziosamente e meravigliosamente e semplicemente deciso che quando avessi preso la mia camera d’albergo a L.A. lei mi sarebbe stata accanto
Segue tra i due una storia intensa, fatta di gelosia, paranoie, paure, in una stanzetta di albergo, mentre la notte americana giù in strada esplodeva in tutta la sua follia… «Si sentiva odore di tè, erba, voglio dire marijuana nell’aria, insieme al chili e alla birra. Le note maestose e indiavolate del bop arrivavano dalle birrerie; si mescolavano a ogni genere di western e boogiewoogie…»

I due andarono per un periodo a Selma a casa dei genitori di lei e lavorarono nei campi di cotone per un dollaro al giorno. «Bea ed io fissavamo le stelle e ci baciavamo. “Mañana” disse lei, “domani si sistemerà tutto, non credi Jackie-tesoro mio?”, “Certo, piccola, mañana”. Era sempre manana. Per la settimana successiva non sentii altro, mañana, un’incantevole parola che probabilmente significava paradiso
Ho riportato questo passo per il motivo che adesso vengo a spiegare.

Al padre di lei Kerouac non piaceva e dopo un po’ lui la lasciò.
L’importanza di questa vicenda sta nel fatto che fu il racconto “Terry, the Mexican Girl” ad aprire la strada della pubblicazione al romanzo On the Road. Se Jack non avesse incontrato la sua Beatrice, non avrebbe mai scritto quel racconto e probabilmente, senza quel racconto, gli editori non si sarebbero mai accorti di On the Road.

Ma che fine fece poi Beatrice? Verrà trovata dallo scrittore e poeta americano Tim Z. Hernandez che vi scriverà un libro dal titolo Mañana Means Heaven, cioè “domani vuol dire paradiso”, pubblicato dalla University of Arizona Press nel 2013.
La ragazza messicana per tutta la sua vita non ha mai saputo che la sua storia d’amore fosse stata riportata nel romanzo da Kerouac. Beatrice lo ha scoperto sulle soglie dei novanta anni, quando il poeta e scrittore Hernandez, trovando presso la New York Public Library delle cartoline da lei scritte e indirizzate a Kerouac, riuscì a rintracciarla e a chiederle se era lei l’autrice delle cartoline, se era lei Bea Franco. Sì, lei lo era stata, Franco era il cognome del primo marito e lei era ancora moglie di Albert Franco quando incontrò Jack. Poi avrebbe sposato LeRoy Kozera.
Beatrice è poi morta a 92 anni nel 2013, quando è uscito il libro di Hernandez, che a questo punto si spera che qualcuno in Italia tradurrà e pubblicherà. (Pare che il libro sia molto interessante anche per la ricostruzione certosina fatta dall’autore dei campi di lavoro statunitensi negli anni ’40 e ’50).

Si potrebbe ancora dire tantissimo su On the Road, sulla Beat Generation, su quel pazzo di Burroughs, su Corso, su Lawrence Ferlinghetti che ci ha appena lasciati, ma ho voluto sottolineare il lavoro di traduzione di Michele Piumini che è stato bravissimo. E di Magda De Cristofaro, o chi per lei, che nel lontano 1959 è stata per davvero coraggiosa – con una lingua italiana ancora non pronta per la sperimentazione narrativa dei beat – a fare quel che ha fatto e che ha comunque permesso la conoscenza dei beat in Italia. E poi ho voluto parlare di Neal ma soprattutto dei tre grandi personaggi minori che minori non lo sono stati per niente, anzi. Spero solo che un giorno potremo leggere in italiano Mañana Means Heaven di Tim Z. Hernandez.

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