Jack Kerouac nasce il 12 marzo del 1922. Nel 1951, a 29 anni, scrive in sole tre settimane il suo romanzo più celebre, On the Road, pubblicato negli Usa nel 1957 e in Italia nel 1959 con il titolo “Sulla strada”, traduzione di Magda De Cristofaro, introduzione (celebre) di Fernanda Pivano. Sulla base di una sterminata quantità di appunti presi durante i suoi viaggi in lungo e in largo per gli Stati Uniti d’America, quest’opera verrà scritta di getto su di un rotolo di carta lungo 36 metri, un flusso ininterrotto di parole; siamo agli inizi degli anni ’60, della rivoluzione culturale, i fiori, la pace, la contestazione, andare contro le regole era un’urgenza, una necessità… Anche se, i due contesti sociali, quello americano dove nasce il libro, e quello italiano dove solo due anni dopo viene tradotto e pubblicato, sono totalmente diversi.
I ’60 italiani sono stati laici, politici, atei; quelli americani venati di un forte misticismo religioso e di anarchismo, per alcuni versi più pericolosi, anche se entrambe le esperienze di qua e di là dell’Oceano avrebbero strizzato l’occhio al nichilismo. E infatti di lì a poco, da una parte e dall’altra del bicefalo Occidente, ogni cosa avrebbe preso fuoco. Senza ombra di dubbio, in quegli anni la libertà dell’individuo ha raggiunto il picco massimo, cosa mai accaduta nella storia intera dell’umanità. Da quel momento in poi è stato un cammino all’indietro fino all’attuale basso impero in salsa informatica dove gli studi economici hanno preso il sopravvento su tutte le altre materie. Le vicende narrate sono tutte autobiografiche e il libro è un canto alla libertà contro il sistema. (Oggi al contrario si canta il sistema).
La scrittura, musica contro il sistema
Queste vicende autobiografiche risalgono al 1947-50, quando l’autore aveva su per giù 27 anni, e come detto sono la trascrizione minuziosa degli appunti dei suoi viaggi; l’idea portante dell’opera avrebbe dovuto essere la furia e la musicalità della scrittura a discapito di tutto il resto, dall’ortografia alla trama. In sostanza la scrittura pura. Nel libro sono presenti i maggiori personaggi della Beat Generation, tra cui il suo amico Neal Cassady con lo pseudonimo di Dean Moriarty che al tempo dei viaggi aveva 23 anni; poi il poeta Allen Ginsberg anche egli ventitreenne, presente nel libro con il nome di Carlo Marx; lo scrittore William Seward Burroughs II, 35 anni, nel libro è Old Bull Lee; e una donna fino a pochi anni fa sconosciuta, a cui Kerouac forse deve tutto, la ragazza messicana.
La generazione cui loro appartengono è quella dei boomers, vale a dire di quei giovani che hanno goduto degli “introiti” seguiti alla vittoria della Seconda guerra mondiale, quando i soldi pubblici erano usati per programmi televisivi dove si insegnava al popolo come si crea un’azienda. Al tempo negli States, infatti, si assiste al primo tentativo da parte del governo di trasformare il popolo americano in un popolo di imprenditori mediante i mass media, sicché la Beat Generation nei ’50 e gli hippie e la contestazione nei ’60 sono una reazione a questo progetto orwelliano. La benzina costa letteralmente quattro soldi, tutti possono permettersi una macchina, gli affitti sono ai minimi storici, la flessibilità e la richiesta di mano d’opera permettono alle persone di scegliere i lavori che vogliono, abbandonarli, prenderne di nuovi, pare che tutto sia a portata di mano, un benessere mai visto prima, i conflitti sociali tra la popolazione bianca sono stati spinti di là dei confini nazionali, la popolazione nera continua a essere confinata nei ghetti ma non per molto ancora.
Se si considera pertanto il contesto storico e sociale, Sulla strada è il libro che lo incarna meglio, figlio dei suoi tempi ma anche di rottura con i suoi tempi. I romanzi però che tentano di comprendere i propri tempi senza cercare a tutti i costi la rottura hanno maggiori possibilità di diventare universali; al contrario i romanzi come On the Road che hanno puntato tutto sulla “rottura”, decontestualizzati dai loro tempi, rischiano di divenire incomprensibili, almeno ai più. Se a ciò si aggiunge da una parte la continua evoluzione della lingua e dall’altra l’impoverimento della stessa nelle società a trazione culturale basata solo sulle scienze economiche, va da sé che opere come quella di Kerouac sono destinate all’oblio.
C’è però qualcosa di insolito in questo libro che fino ad oggi lo ha salvato. Da romanzo cult è divenuto, certo, il meno letto in assoluto della letteratura americana, nonostante ciò la memoria di questo libro è viva, tutti ne conoscono almeno il titolo, il nome dell’autore, e il rimando a certe immagini è immediato. Questo libro è mito. E ci sono vari elementi che hanno contribuito a costruire questo mito. Innanzitutto la traduzione del libro e di Kerouac in generale.
L’inenarrabile traduzione
La prima traduzione di On the Road come detto è del 1959, ed è stata fatta da Magda De Cristofaro. La De Cristofaro ha tradotto di Kerouac On the Road e Dottor Sax nel 1959; I vagabondi del Dharma nel 1961; Visioni di Gerard e Maggie Cassady nel 1980; Angeli di desolazione nel 1983.
Altre traduzioni della De Cristofaro sono: Storia della rana Rina: vita nello stagno, Una festa di colori: storia di fiori, Ninno Nessuno, Il circo della siepe: storia di animali e Balzi e voli: poesie e canzoncine di Ruth Thomson, nel 1984; Buffo e Baffo vanno in campagna: incontro con la campagna e Bob e Bobi: il libro dell’alfabeto di David Lloyd, nel 1988; Ciao, ciao, bambino bello: il libro delle filastrocche di Anne Grahame Johnstone,nel 1988.
Questo è tutto ciò che si trova online sulla traduttrice di On The Road, un libro simbolo degli anni della contestazione tanto in America quanto in Italia. Di lei non c’è una foto, nessuna notizia autobiografica. Un altro capolavoro di Kerouac, I sotterranei, è stato pubblicato nel 1960 da Feltrinelli ma il traduttore è ignoto – “anonimo” c’è scritto.
Inoltre, Kerouac è stato portato in Italia “letterariamente” e fisicamente da Fernanda Pivano, studentessa di Cesare Pavese, che nel 1959 aveva già un lungo curriculum di traduzioni: Edgar Lee Masters, 1943; Charles Dickens, 1945; John Locke, 1945; James Fenimore Cooper, 1946; Sherwood Anderson, 1947; Ernest Hemingway, 1947; Elizabeth Goudge, 1948; Francis Scott Fitzgerald, 1949; Richard Wright, 1949; William Faulkner, 1951… E questi sono solo alcuni degli autori tradotti dalla Pivano. Kerouac e la Pivano erano amici, perché non aggiungere alla lista Jack Kerouac?
La domanda delle domande però è: com’è stato possibile? Com’è stato possibile che questo libro tradotto nel 1959 abbia avuto tanto successo qui da noi? È brutto. Per anni ho sentito questa citazione: «“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”, “Dove andiamo?”, “Non lo so, ma dobbiamo andare”».
Era l’unica cosa sensata che si potesse citare. Il resto è improponibile. Riporto qualcosa della traduzione del ‘59: 1) «In ricambio io le feci dei lunghi racconti»; 2) «… lanciò la macchina come un razzo giù per la strada in una furia di decisione»; 3) «…un monaco frugante nei manoscritti della neve»; 4) « … vedendo ogni cosa in un arco di 180 gradi intorno alle pupille senza muovere la testa»; 5) «… Era tutta preoccupata del suo benessere»; 6) «Proprio in quel momento cominciò a ossessionarmi una strana cosa. Era questo: avevo dimenticato qualcosa. C’era una decisione che ero stato sul punto di prendere prima che Dean si facesse vivo, e ora se n’era uscita netta dal mio cervello, eppure ce l’avevo ancora sulla punta della lingua del cervello».
È un continuo, è impossibile leggerlo.
La furia, la musicalità, niente di tutto ciò. Jazz? Ma quale Jazz? Questa sembra una banda di paese. Molti pezzi li ho dovuti rileggere due volte, ma non perché una frase fosse priva di soggetto o perché l’autore saltasse da un episodio all’altro, no … il problema è proprio l’italiano che è stato usato. In inglese suonano così: 1) «In exchange I told her long stories»; 2) «Shot the car full-jet down the road in a fury of decision»; 3) «… a monk peering into the manuscripts of the snow»; 4) «and seeing everything in an arc of 180 degrees around his eyeballs without moving his head»; 5) «She was all concerned about his happiness»; 6) «Just about that time a strange thing began to haunt me. It was this: I had forgotten something. There was a decision that I was about to make before Dean showed up, and now it was driven clear out of my mind but still hung on the tip of my mind’s tongue». Chi mastica un po’ d’inglese si rende conto che è tutta un’altra cosa.
Siamo nel 1959, erano altri tempi, un altro mondo, anzi il fatto che il libro sia giunto fino ad oggi è un miracolo. Però…la Pivano aveva tradotto autori importanti: è mai possibile che non si sia resa conto che la traduzione della De Cristofaro era una violenza all’idea stessa di letteratura di Jack Kerouac? La velocità, la musicalità, ogni cosa perduta. Nel ’59 la lingua era rigida come rigida era la vita, la società italiane. In quella lontana Italia del ’59, il punto di riferimento dell’individuo nella società era la famiglia, la casa, anzi l’individuo era ancora parte integrante del tutto. Kerouac sbarca in quell’anno, il ’59, solo 14 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, parlando di tutt’altro, scrivendo su di un viaggio, ma non il viaggio in un mondo fantastico, bensì in un mondo il più reale possibile, la strada. Chi non ha una strada sotto casa? Questo probabilmente è il secondo elemento che ha creato intorno al suo libro un alone di leggenda.