ABCinema | Ciclo Truffaut. Non drammatizziamo…è solo questione di corna

L’arte cinematografica non può esistere che attraverso un tradimento ben organizzato della realtà.” (François Truffaut)

La trama di “Domicile conjugal, tradotto malamente in italiano Non drammatizziamo…è solo questione di corna (1970), è relativamente semplice. È il quarto film del ciclo Doinel. Antoine (Jean-Pierre Léaud) è sposato con Christine (Claude Jade), ha un figlio e un’amante giapponese. Antoine lavora come fioraio e compie esperimenti con le tinture per produrre un “rosso assoluto”. Christine, invece, è un’insegnante di violino. Truffaut ci mostra le cene con i genitori, le conversazioni a letto e gli incontri con i numerosi vicini di casa. I due ridono spesso e sembrano felici. Christine è incinta e nasce Alphonse. Non essendo riuscito a riprodurre il suo “rosso assoluto”, Antoine si presenta a un colloquio di lavoro e viene assunto da una compagnia idraulica americana. Qui incontra la bella Kyoto, con cui inizia una relazione. Per caso, Christine riceve un biglietto di Kyoto destinano ad Antoine. Reagisce con rabbia e Antoine la lascia per trasferirsi a casa dell’amante. Ma si stanca di lei rapidamente e Kyoto lo abbandona. Un anno dopo Antoine e Christine sono di nuovo insieme.

Il modello Jean Renoir

A prima vista, Non drammatizziamo…è solo questione di corna sembra un film leggero e di poca sostanza, spiritoso, ottimistico e allegro. Come nei precedenti episodi del ciclo di Doinel, la sceneggiatura è originale, disseminata di osservazioni sul comportamento sociale, il linguaggio, il modo di vivere, di personaggi “normali” ed eccentrici, tutti ispirati all’enorme quantità di appunti raccolti dal regista nel corso degli anni e ai racconti di amici e colleghi. Il film è un susseguirsi di gag, battute divertenti e citazioni, come la sequenza “alla Jacques Tati” nella stazione della metropolitana. La schiera di figure minori è straordinaria per la sua varietà: il cantante d’opera e la moglie, che abitano nell’appartamento accanto, il portiere, il proprietario del caffè, i suoi clienti, la cameriera provocante, l’uomo che non esce mai dal suo appartamento, il giovanotto che vive da solo, la prostituta e l’amico mendicante.

La molteplicità delle relazioni, l’ambientazione e l’uso reiterato di immagini caratterizzate da un’ampia profondità di campo fanno del film un chiaro omaggio a Jean Renoir. Il cortile è un chiaro riferimento è Il delitto del signor Lange (“Le Crime de Monsieur Lange”, 1936) e consente allo spettatore di inoltrarsi in un analogo intreccio di vite e relazioni umane. Le caratteristiche positive della vita collettiva in un condominio parigino, con le porte e le finestre sempre aperte, le esistenze condivise e un ricco linguaggio colloquiale sono alla base di entrambi i film.

Un’analisi più attenta rivela nondimeno un quadro piuttosto diverso. Il film racconta, infatti, diversi approcci all’amore e alle relazioni sociali. Al centro ci sono Antoine e Christine che passano continuamente da momenti sereni a violente discussioni, sperimentano le quotidiane tensioni di una coppia che vive in un piccolo appartamento, allevano un bambino, cercano e trovano lavoro.
Il film è l’anatomia di un matrimonio e la testimonianza del suo lento disgregarsi. Antoine diventa l’amante della donna giapponese quasi senza rendersene conto. “Io non so nemmeno dove stia di casa la noia”, grida a Christine. Eppure, alla fine del film telefona alla moglie tre volte dal ristorante in cui sta cenando con Kyoto per dirle che si annoia terribilmente. Con un’ironia che sembra sfuggirli, inizia a corteggiare la moglie proprio mentre è in compagnia dell’amante. Dicendo a Christine che è sua sorella, sua figlia, sua madre, Antoine si dimostra confuso come sempre. Lei replica: “Avrei voluto essere anche tua moglie!”; quindi, Christine è dignitosa, matura e responsabile come Antoine non sarà mai.

La storia di un tradimento e tanti personaggi intorno

“Spesso sono stato accusato di ritrarre uomini deboli e donne decise, che dirigono gli eventi, ma penso che sia proprio quello che avviene nella vita reale.” (François Truffaut)

Quando Christine scopre che Antoine l’ha tradita con Kyoto si fa trovare vestita da giapponese. Spesso Truffaut anticipa gli eventi con gesti e dialoghi apparentemente ingiustificati. Fin dalla scena di apertura è chiaro che Christine è sposata (perché insiste per farsi chiamare “signora” e non “signorina”) e che è affascinata da Nureyev. Desidera forse un uomo come lui al posto dell’infantile Antoine? Antoine, invece, è interessato a Kyoto, la donna giapponese che incontra sul luogo di lavoro, e si dà da fare per conoscere questo nuovo mondo esotico.
Il film probabilmente ferì la moglie di Truffaut, anche se forse il contrasto tra l’impetuoso e superficiale Antoine/Truffaut e la paziente, ricettiva Christine/Madeleine attenuò il suo dispiacere.

Jean-Pierre Léaud, nato a Parigi nel 1944, ha iniziato la sua carriera di attore protagonista proprio con Truffaut, nell’opera prima di quest’ultimo, I 400 colpi (1959), film considerato pietra miliare della nouvelle vague.

Esattamente l’opposto della giovane coppia sono i due vicini, il cantante d’opera di mezza età e sua moglie. Il tempo acuisce più che attenuare le tensioni. Nell’ultima scena Antoine, aspettando con impazienza che la moglie sia pronta, le lancia il cappello e cappotto dalle scale, proprio come aveva fatto il cantante d’opera all’inizio del film.
Vivere in coppia significa fare i conti con l’insofferenza che nasce dalla familiarità.
I personaggi minori rappresentano ulteriori approcci all’amore. Per esempio, il regista descrive con tono benevolo i rapporti di Antoine con una prostituta. Ci mostra, quindi, la cameriera del bar, Jeannette, che cerca ripetutamente di sedurre un perplesso Antoine; il misterioso “strangolatore”, un giovanotto che vive solo e che diventa rapidamente il centro di una ridda di voci e insinuazioni; e, infine, un uomo che non lascia mai il suo appartamento, che ha eliminato dalla sua vita le relazioni umane e trascorre il suo tempo alla finestra o davanti alla televisione, lasciandosi vivere.

Al centro di questo coro di voci c’è Antoine, che si innamora sempre anche dei genitori delle ragazze che ama, adulto ma mai cresciuto, come dimostra il suo nuovo lavoro che consiste nel manovrare barche giocattolo in un porto in miniatura. Non ha ancora trovato il suo scopo nella vita, continua a passare da un impiego all’altro, spinto dal capriccio più che da un fermo proposito. Lo scarto tra ambizioni e realtà è più grande che mai: vende garofani ma sogna di creare nuovi colori; frustato, molla tutto e cambia lavoro, ma, nella speranza di diventare uno scrittore, pensa sempre al suo romanzo, che verrà pubblicato come “Le insalate dell’amore”, tra questo film e il successivo e conclusivo episodio, L’amore fugge (1978).
Il desiderio di ottenere ad ogni costo fiori di un “rosso assoluto” è una precisa metafora del suo carattere. E il risultato catastrofico dell’esperimento, i fiori devastati dal fumo, è la prova dell’impossibilità di afferrare l’assoluto: Antoine è destinato, infatti, a restare l’emblema del provvisorio.

| autore: Benedetto Naturali