Giovanni Arpino, nel trentennale della scomparsa

Giovanni Arpino, scrittore e “testimone”, disinteressato e partecipe, attraverso le sue storie, tra l’immediato Dopoguerra e gli anni Ottanta. Un bel corpus di opere il suo, da riscoprire anche per la qualità della scrittura.

Ritratto di Giovanni arpino

Dall’Istria alla Torino della cultura e della industria

Giovanni Arpino (Pola 1927 – 10 dicembre, Torino 1987) è stato autore di alcuni tra i più fortunati romanzi italiani tra gli anni Cinquanta e Settanta.
Nato in Istria ma piemontese d’adozione, egli si colloca, nell’abito della nostra storia letteraria, in quella rosa di scrittori che riscosse un certo successo.
Scrittore e giornalista, Arpino fu autore di romanzi, racconti, narrativa per ragazzi, poesie; coautore di una sceneggiatura per un film (l’episodio “Renzo e Luciana” diretto da Monicelli per Boccaccio 70) e di alcune trasmissioni radiofoniche.
Da alcuni critici ne è stata sottolineata l’atipicità, il suo rifuggire da ogni catalogazione. Spesso definito “anti-intellettuale”, ha però tentato col suo approccio una ricerca appassionata, cimentandosi con tematiche differenti, sostenuto da una spiccata propensione all’osservazione della società e da uno scandaglio approfondito dell’animo umano.
È così, che dal suo speciale osservatorio, Torino, Arpino ci ha dato sicuramente uno spaccato della vita nell’Italia del secondo dopoguerra; ha mostrato in questo una non comune duttilità stilistica. Osservatore, ora disincantato, ora sognante, di certo, sempre alquanto defilato.
Uno dei massimi studiosi dell’opera arpiniana, Riccardo Scrivano, ha ipotizzato un “ventaglio” tematico, che in Arpino sarebbe “assai più articolato di quanto generalmente accade allo scrittore contemporaneo”, pur fondandosi “su uno spiccato personalismo dell’espressione, su una sostanziale compattezza di registro”, ora avvinto all’originalità dell’intreccio, ora votato all’introspezione o all’invenzione fantastica (Bruno Quaranta lo definisce oggi su La Stampa, un “meccanico della letteratura”).
La costante del corrente, del quotidiano ne ha fatto uno scrittore “attualista” e ciò spiegherebbe forse il successo di pubblico ottenuto da alcune sue opere, ma anche i rimbrotti della critica avanguardista.
Non dimentichiamo, però, che egli fu anche un apprezzato giornalista, dotato di un “fiuto” testimoniato dai tanti articoli, anche e, soprattutto, sportivi. Egli trasformò la cronaca sportiva in un racconto avvincente, epico, che ebbe un interessante esito letterario in Azzurro tenebra (’77) ispirato alla sua esperienza di corrispondente ai Mondiali di calcio del 1974 in Germania.

Azzurro tenebra, l’altra disfatta della Nazionale italiana.

La letteratura, la società e un insolito viaggio nella psiche

L’opera dello scrittore Arpino, invece, può dividersi grosso modo in tre fasi, tenendo presente che sono stati molti i ritorni e le fughe.
Sei stato felice, Giovanni (’52), rifacendosi ad un tardo neorealismo e a moduli letterari nordamericani, fu debutto vittoriniano (fu pubblicato nella collana dei “Gettoni” Einaudi diretta da Elio Vittorini), e rivela immediatamente l’animo picaresco dell’eroe arpiniano, che in vari modi e forme tornerà nelle successive prove.
Per ben sei anni lo scrittore si dedicò quasi esclusivamente alla poesia, pubblicando due raccolte, Barbaresco (’54) e Il prezzo dell’oro (’57); oltre che per i suoi contenuti (la terra, il padre…) e il suo intrinseco valore estetico, è questa una parentesi importante ai fini della sperimentazione e del potenziamento dei mezzi espressivi.
Il ritorno al romanzo è caratterizzato da una grande attenzione al sociale, alle problematiche politiche e dell’alienante condizione umana nelle nascenti città metropolitane e industriali.
In Gli anni del giudizio (’58), come preannunciato già dal titolo, un lungo ruminare i temi del marxismo, della strada intrapresa dalla contemporanea lotta di classe, fa sì che il giovane picaro del primo romanzo prenda il suo posto in una società in cui vuole giocare un ruolo finalmente attivo; non è più il tempo del carpe diem e delle giovanili ubriacature, ma della dialettica politica, dei comizi, dell’eroismo operaio.
La suora giovane (’59) è la strana storia dell’impiegato che s’innamora di una suora, ma qui si esce dal cliché di un sentimentalismo spesso imbevuto di implicazioni morali. Lo sguardo si appunta piuttosto sul contrasto tra campagna e città: sono in primo piano la solitudine cittadina e la crisi della provincia, in questo caso, quella piemontese.
Con Un delitto d’onore (’62) l’attenzione al sociale che ha sotteso finora l’opera dello scrittore, assume l’aspetto di una vera e propria analisi sociologica. Nel romanzo non soltanto viene descritto un caso esemplare (un delitto passionale), ma questo viene anche calato in un ambiente lontanissimo da quello piemontese (la provincia di Avellino negli anni del fascismo). Romanzo, quindi, di sfondo sociologico e storico insieme.
Una nuvola d’ira (’62) è insieme un ritorno e continuazione del filone narrativo intrapreso con Gli anni del giudizio.
Con L’ombra delle colline, primo classificato al Premio Strega 1964, si apre la seconda fase: il titolo del romanzo evoca quel paesaggio delle Langhe dal quale lo scrittore verrà sempre più staccandosi, non senza però averne celebrato un’ultima volta la sapienza antica e i meriti storici.
Sono gli anni, del resto, in cui Arpino sembra rimestare nel proprio mondo letterario in costante ricerca del nuovo. Con i racconti, in particolare, egli apre il varco a tutti gli aliti e gli umori che il suo bagaglio culturale gli consente di elevare e mettere in forma di scrittura.

Il risultato è Un’anima persa (’66): un romanzo singolare, per certi versi, refrattario – strano a dirsi – alle raziocinanti tessiture delle precedenti prove. Ma è esattamente nella tentata rappresentazione dei bui cunicoli del vissuto che la problematicità dell’opera può essere colta.
A dominare il lettore è soprattutto il suggestivo panorama morale di un’anima alla deriva; l’oscura visione in cui essa compie quei contorcimenti parossistici che sono clamorosa esplosione di un disagio le cui reali motivazioni restano sostanzialemente velate.
E di una ricchezza di suggestioni vive anche il protagonista de Il buio e il miele (’69), la dimostrazione (nella finzione del romanzo, come, in seguito, in quella del film) di un lavorio sulla figura umana, qui mutilata e posta in una lacerante condizione di sradicamento.
Come avrebbe potuto il cinema non accorgersi di tanta potenza narrativa? Dino Risi trae dai due ultimi romanzi citati altrettanti film; uno quasi omonimo e con molti rimaneggiamenti, l’altro più fedele e memorabile – grazie a Vittorio Gassman-: Profumo di donna (’74).

In una terza fase l’attività di Arpino avrà sviluppi ulteriori e, per molti versi, inattesi.
Il terzo tempo della sua opera, da Randagio è l’eroe (’72, Premio Campiello) a La trappola amorosa (pubblicato postumo nel 1988), passando per Domingo il favoloso (’75), Il primo quarto di luna (’76), Il fratello italiano (’80) e lo struggente congedo di Passo d’addio (’86), sono opere in cui la scrittura raggiunge il massimo del personalismo.
Si tratta sempre di storie brevi, vissute con la consueta intensità, ma, ritiratosi in una Torino problematica, quasi sgomento di fronte all’Italia degli anni Settanta ed Ottanta, l’autore ci pone di fronte ad uno stile e a dei contenuti fattisi più ostici, soprattutto quando viene a mancare un vero e proprio intreccio.
L’Arpino degli anni Settanta ed oltre, sembra aver definitivamente abbandonato il “vitalismo” dei vecchi personaggi; anime perse, ma ancora vitali, nonostante siano state poste di fronte ad un orizzonte meno luminoso, che è andato sempre più offuscandosi.
Il rifugio sembra essere divenuto il vagheggiamento di un eroismo umano senza compromessi, talvolta travestito da sorta di messianismo laico, oppure il cogliere, senza il minimo compiacimento, i fiori del male della società: la droga, l’emarginazione, la morte…
Passo d’addio è significativamente storia di un’eutanasia e, al contempo congedo dell’uomo e dello scrittore.

 

Copertine libri di Arpino

Monografie:

Scrivano R., Giovanni Arpino, La Nuova Italia, Firenze 1979.
AA.VV., Giovanni Arpino. L’uomo, lo scrittore, Atti del Convegno di Studi, a cura di Cetta Bernardo, Bra 1988.
AA.VV., Arpino fra romanzo e film (atti di un convegno), ed. a cura del Centro di Ricerca per la Narrativa ed il Cinema, Agrigento 1990.
Veneziano G. M., Giovanni Arpino, Mursia, Milano 1994.

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