FEFF – è qui la festa! (del cinema)

FEFF, Teatro Nuovo/Cinema Centrale, Udine – Se è possibile definire una sottile linea rossa che attraversa ogni edizione della festa del Far East Film Festival, potremmo sicuramente trovarla nella suo essere profondamente vicino al pubblico – il primo premio al miglior film, il Gelso d’Oro, viene votato al termine della proiezione dagli spettatori – per scelte, dimensioni, respiro organizzativo.


È per questo che il FEFF è sicuramente unico, ma al contempo multiforme: ogni spettatore può raccontare una sua diversa sensazione da “Far East”, un suo personale sentirsi al centro di un progetto di pochi che si allarga al sentire di tutti.
Il FEFF è festa, musica, colori, sorrisi, chiacchiere, condivisione di una vita che si convoglia nell’atto della visione, ma non si esaurisce in essa.
Il FEFF è una festa che contamina la città, dove ognuno si sente a casa e, allo stesso tempo, al centro del mondo: il FEFF è la più bella settimana dell’anno…
… come dice lo slogan di quest’anno: #FEFFUPYOURLIFE!


Una carrellata sui film visti:
Birthday (Lee Jong-un, SK): una tragedia collettiva e il passato che riaffiora come un pesante fardello. Peccato che il film sia condotto convenzionalmente e si perda in una sequenza conclusiva banalmente ricattatoria. 5
A Day Off (Lee Man-hee, SK): un film ritrovato per caso e inserito nella retrospettiva “I Choose Evil”. Libertà espressiva, tecnica che anticipa, stravolge o sperimenta, coraggio pittorico e narrativo. Il protagonista, nel suo vagabondare, ridisegna le coordinate socio-morali di un’intera città. 8+
Jam (Sabu, J): sorprende per il continuo cambio di registro tenuto saldamente in mano dal regista. Divertente e intenso, folle, ma controllato. E godibilissimo.
Innocent Witness (Lee Han, SK): buoni sentimenti e tanta retorica per un film che scorre. Forse troppo. Confezione piattamente televisiva. 6 ½
Two Sisters (James LEE, Malesia): gli horror che “boh”… Non spaventa, non dice nulla di nuovo, si sviluppa come mille altri. Non brutto: inutile! 5


Lying to Mom (NOJIRI Katsumi, J): oh, sì! Il “solito” giapponese: classico, ma non troppo. Una formula magica perfettamente interpretata: un pizzico di eccentricità, eccellente solidità registica, plot dai buoni sentimenti tenuto costantemente imbrigliato. Lacrime perlopiù strozzate in gola e una delicatezza poetica che non sconfina mai nell’eccesso. La poesia cinematografica giapponese al meglio. 8+
Every Day a Good Day (OMORI Tatsushi, J): inizialmente nutre il desiderio di cinema d’autore, in cui le pause e il ritmo dilatato hanno un peso maggiore di certe sparatorie action. Dalla metà in poi, però, questa astrazione mostra la corda e si confronta con una rincorsa molto crono e poco logica nell’economia strutturale delle premesse. Inizia così a scivolare senza emozionare e perde la sua densità. 5

Alcuni consigli per chi volesse andare quasi sul sicuro (i nostri potenziali premiati):
– Crossing the Border (China)
– Default (SK)
– The Rib (China)
– Romang (SK)
– Lost found (China)
– A First Farewall (China)
– Still Human (HK)