Eravamo solo noi, dell’esordiente Vincenzo Coti è un romanzo avvincente che ci trasporta in un passato lontano, quello dei nostri nonni e dei nostri padri, in cui la fatica del vivere è mitigata dal calore primordiale della famiglia.
I dialoghi in lingua madre, il napoletano, rendono immediata la mimesis dei caratteri dei vari personaggi, il contesto storico e ambientale, e tutto quel “lessico familiare” che si nasconde dietro e dentro le parole dialettali. Si descrive un piccolo mondo antico, fatto di sacrifici, di lotte, di (quella sì) resilienza al fato e alle avversità che nel mondo del sud in particolare del dopoguerra erano all’ordine del giorno. In quel marasma di difficoltà si dipanano le storie dei due protagonisti, Anna e Paolino, che sin dalle prime battute attirano la simpatia del lettore per un certo piglio innato che suscita empatia. La loro storia è inglobata in una sorta di racconto corale, un palcoscenico sul quale si alternano i diversi membri della famiglia e tutti quelli che ruotano intorno a loro.
Il fondale di questo palcoscenico è la realtà di un piccolo paese del sud, fatto di terra e lavoro, di devozione e riti al santo patrono (come la festa dei Gigli che destò l’interesse di vari antropologi e a cui l’autore dedica un capitolo e un’Appendice finale). Il racconto delle storie, pur essendo sviluppato intorno ai due protagonisti, è quasi corale come se fosse l’intera comunità a partecipare alle vicende, proprio come accade spesso ancora oggi in queste realtà. La famiglia è il nucleo incandescente che alimenta e riscalda le vite dei personaggi, un nucleo senza il quale pare impossibile persino vivere anche se spesso è la vita stessa ad allontanarcene, come accade al piccolo Paolino che in collegio impara suo malgrado l’amarezza dell’assenza.
(Questo libro è edito in selfpublishing, reperibile sulle maggiori piattaforme)