Scrittore per vocazione ma anche per necessità economica, amante della vita mondana e delle belle donne, a volte si concedeva anche qualche sostanza stupefacente. E’ il ritratto inedito e molto umano, fatto di naturali vizi e virtù, che l’autorevole italianista Barbara Reynolds fa del “sommo poeta” in Dante, the Poet, the Political Thinker, the Man e che nulla toglie al grande genio indiscusso della letteratura italiana.

Le mai sopite dispute accademiche sull’opera e la personalità del nostro Dante
A qualche anno di distanza dall’uscita desta ancora numerose reazioni e polemiche tra gli addetti al settore. Perché in questo saggio, l’autrice Barbara Reynolds (1914 – 2015) descrive il “sommo poeta” come un uomo estremamente sanguigno, audace nelle battaglie, abile stratega, un po’ farfallone con le donne e dedito anche a occasionale uso di sostanze allucinogene. Ma se gli autorevoli critici danteschi italiani hanno subito bollato l’opera con epitaffi quali “chiacchiere inutili” (Ignazio Baldelli), “forzature assurde che sfociano nella bestialità” (Enrico Malato), “un’ipotesi poco credibile” (Guglielmo Gorni), per concludere con “una totale scemenza” (Giulio Sermonti), ogni accusa scivola leggera e si scioglie come un fiocco di neve su una calda parete di fronte all’autorevolezza dell’autrice.
L’italianista Barbara Reynolds è infatti una delle maggiori studiose e critiche letterarie al mondo. Insegnante da oltre trent’anni alla Cambridge University, ha tradotto in lingua inglese la Divina Commedia (traduzione realizzata in parte con Dorothy Sayers), e la sua versione è quella maggiormente usata nei paesi anglosassoni. Il suo nome, inoltre, è legato alla traduzione del più importante dizionario italiano-inglese esistente, costituito da due enormi volumi editi dalla Cambridge Univerity Press. Ma quello che lascia ancora più sbalorditi è che la quasi centenaria Reynolds abbia dedicato gli ultimi anni alla stesura di questo libro così inusuale su Dante Alighieri.
Tra le motivazioni addotte nell’introduzione, l’autrice esprime la sua voglia, dopo anni e anni di lezioni accademiche su Dante, di rileggere stavolta l’intera opera con un atteggiamento più distaccato, libero da condizionamenti culturali e con uno spirito critico che esulasse dal bagaglio culturale accumulato inevitabilmente fino a quel punto della propria vita.
Rileggere le vicende dell’uomo, rileggerne l’opera
Ne è scaturito quindi un volume di 480 pagine, nelle quali si delinea un ritratto quasi inedito di Dante Alighieri, che secoli di critica letteraria avevano contribuito ad offuscare e travisare dietro una falsa aura di misticismo cristiano e con “dogmi” imposti che nessuno si era finora mai preso lo sfizio di provare a scardinare.
Il Dante della Reynolds è un uomo estremamente terreno, che vive con passione la sua epoca, dedito non solo ai poemi d’amore, ma anche alla composizione di sonetti sensuali e scherzosi, che amava le feste mondane e le belle donne. Quando giunse l’amaro esilio da Firenze, combatté strenuamente al fianco dei propri compagni per riconquistare l’accesso a Firenze creò alleanze politiche e strategie militari, salvo poi essere allontanato nel 1304 con l’accusa di tradimento: ritenuto responsabile dei fallimenti diplomatici tra le diverse fazioni in lotta, fu accusato di negoziare in segreto la sconfitta per ottenere un personale ritorno in città. Amareggiato, abbandonò quindi i compagni e si vide quindi precluso l’accesso ai fondi di sussistenza comune.
Il sorgere di seri problemi economici diede l’impulso a Dante per scrivere opere letterarie esclusivamente da destinare alla vendita. Da attento osservatore della realtà, si accorse che nessuno fino ad allora aveva mai scritto sull’uso letterario della lingua volgare. Nacquero così il De vulgari eloquentia prima, e Il convivio poi. Quest’ultimo inizialmente era stato concepito in 15 parti, ma Dante si fermò a soli quattro capitoli. La Reynolds adduce come motivazione il fatto che l’opera avesse avuto uno scarso successo tra gli intellettuali dell’epoca. Ogni capitolo venduto avrebbe dovuto costituire la risorsa economica per proseguire alla stesura dei successivi e per il pagamento dei copisti. Gli argomenti trattati però erano troppo popolari per gli intellettuali e troppo intellettuali per il popolo.

Dante allora decise di cambiare genere e di attingere ad un filone molto in voga al suo tempo: il viaggio ultraterreno di un vivo nel regno dei morti. Numerose erano infatti le versioni che circolavano sul tema e che erano interpretate da diversi personaggi: Orfeo che cerca la moglie Euridice, Enea alla ricerca del padre Anchise, ma soprattutto molto conosciuta era la storia del viaggio di San Paolo negli inferi accompagnato da un angelo. Di certo le narrazioni del tempo erano molto rozze e disorganizzate, e a Dante è quindi da attribuire non certo l’originalità del tema, bensì la capacità di averlo ripreso e sviluppato in maniera organica e armoniosa. Non mancano poi nel volume riferimenti dettagliati ad immagini e rappresentazioni iconografiche dell’epoca alle quali Dante si è ispirato o che ha ripreso fedelmente per numerosi personaggi presenti nella Commedia.
Il mirabile viaggio di Dante “drogato”?
…E molte delle visioni che il Poeta ha nel corso del suo viaggio ultraterreno sono ricondotte dall’autrice ad un probabile uso di erbe allucinogene, sostanze stupefacenti che avrebbero alterato la percezione dei sensi e permesso la descrizione di situazioni strabilianti.
“In uno stato di coscienza alterato dall’assunzione di sostanze chimiche – spiega l’autrice – il tempo è percepito come un eterno presente di durata infinita, la realtà assume un aspetto sacro ed ogni cosa nell’universo sembra assumere un preciso ruolo e significato in un disegno sovrannaturale”.
Dante apparteneva alla categoria degli speziali: conosceva bene quindi le proprietà delle erbe e i loro molteplici effetti sull’uomo, e gli effetti di straniamento sensoriale che poteva provocare la cannabis o la mescalina (che si ricava dall’aloe). Se anche avesse fatto uso di qualche sostanza allucinogena, come ipotizzato dall’autrice, forse la bellezza e l’imponenza di un’opera come la Divina Commedia svanirebbero d’incanto? Forse il suo genio indiscusso non sarebbe più tale?
L’ispirazione di un artista può arrivare da numerose fonti, anche attraverso la conoscenza di esperienze estreme, inusuali o anche difficili, che segnano l’anima, inducono alla riflessione interiore e generano la volontà di espressione. Il ritratto del poeta che viene fuori dal volume di Barbara Reynolds è quello di un uomo terreno, pratico, a volte fragile e a volte impetuoso, che vive le difficoltà e le gioie del suo tempo, e che grazie alla sua eccezionale capacità creativa è riuscito a diventare il simbolo di un’intera nazione e a rappresentarla nel mondo.
E’ insomma, in certo senso, un Dante più reale di quello stereotipato e serializzato dei classici volumi di critica letteraria.