Presentato in anteprima al Biografilm Festival 2019, What’s My Name: Muhammad Ali è il corposo documentario targato Hbo diretto da Antoine Fuqua (Training Day, The Equalizer) e dedicato al grande pugile americano, che sarà trasmesso venerdì 21 giugno alle 21:15 su Sky Arte.
Muhammad Ali, scomparso nel 2016, non è stato solo uno degli atleti più conosciuti e amati di sempre, tre volte campione del mondo dei pesi massimi e oro olimpico a Roma 1960, ma è stato soprattutto un’icona dentro e fuori dal ring, simbolo della lotta alle disuguaglianze razziali e di autodeterminazione per tante generazioni di afroamericani.
Vent’anni di battaglie
What’s My Name: Muhammad Ali, diviso in due parti, ricostruisce in maniera completa le prodezze del pugile di Louisville nel corso della sua lunga vita sportiva, lasciando al contempo emergere lo spirito rivoluzionario e politico che ha incarnato per tutta la vita con le sue dichiarazioni e azioni.
Il punto di vista scelto da Antoine Fuqua è preciso ed efficace: il focus narrativo si concentra esclusivamente sulla sua carriera pubblica, assemblando materiali – molte dei quali inediti – di repertorio, fotografie, registrazioni audio e video appartenenti a incontri, interviste televisive, conferenze stampa pre-match, allenamenti, uscite pubbliche.
Il lavoro di Fuqua (prodotto da LeBron James) si rivela così un’appassionante flusso ininterrotto di combattimenti e parlantina, dote innata di Muhammad Ali, che permette in definitiva al campione di raccontare se stesso al pubblico odierno, rivendicando le proprie posizioni e battaglie per i diritti civili.
Lo spettatore che solo superficialmente ha sentito parlare del grande pugile può finalmente vederlo all’opera, dai primi passi mossi in palestra all’età di 12 anni alla storica vittoria contro Sonny Liston fino agli scontri epocali contro Joe Frazier, George Forman e Ken Norton. Può soprattutto approfondirne il carisma e la personalità brillante, di cui restano memorabili gli aforismi (“Vola come una farfalla e pungi come un’ape”) e le provocazioni – il celeberrimo trash talking – rivolte agli avversari prima, durante e dopo i combattimenti.
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Un nome, un’identità
Snodo fondamentale è la scelta di abbandonare il nome da schiavo Cassius Marcellus Clay Jr che non poteva più rappresentarlo, dopo la conversione all’Islam e il suo attivismo contro la segregazione razziale al fianco di Malcolm X e Martin Luther King. Non è un caso che i suoi avversari e oppositori lo osteggeranno prima di tutto non chiamandolo Muhammad Ali.
Dal rifiuto del campione di combattere in Vietnam, che influì drasticamente sulla sua carriera professionistica, alla riluttanza a ritirarsi fino alle fasi conclamate della malattia e l’accensione della fiaccola olimpica ad Atlanta 96, What’s My Name: Muhammad Ali restituisce la parabola agonistica ed esistenziale di una figura indimenticabile, mantenendone vivo il portato sportivo, umano, culturale e sociale.