ABCinema | Orfeo, di Jean Cocteau

Questo film del 1950 è la straordinaria rivisitazione del mito greco da parte di un poeta visionario e modernissimo.

Chi era Orfeo?

…Era un poeta infatuato della bella Euridice o un intellettuale disilluso innamorato solo di se stesso? È questo il dilemma attorno a cui ruota la personalissima rilettura del grande Jean Cocteau di un mito lontano ma eterno, calato nei vivacissimi e splendidi anni esistenzialisti del dopoguerra. È infatti al Café des Poêtes, luogo di ritrovo di scrittori e di artisti, che l’affermato e irrequieto Orfeo (Jean Marais) assiste all’ascesa del giovanissimo poeta d’avanguardia Cégeste (Edouard Dhermitte), protetto dalla misteriosa e affascinante Principessa (Maria Casares). Dopo una rissa, Cégeste viene travolto da due singolari motociclisti e portato via in Rolls Royce dalla Principessa che vuole accanto a sé anche Orfeo. Scoprì troppo tardi che in realtà quella bella e fascinosa dama altri non è che la Morte, invaghitasi di lui e pronta a condurlo con sé nel Regno dei Morti.

Jean Marais (1913 – 1998) è Orfeo

E così, dopo la morte della moglie Euridice (Maria Déa), avvenuta anch’essa per colpa dei due motociclisti inviati dalla Principessa, Orfeo decide di raggiungerla. Chiede perciò aiuto all’autista della Rolls Royce, Heuterbise (François Périer), per varcare la soglia di uno specchio. L’uomo, dopo avergli fatto infilare un paio di guanti speciali, gli sussurra: “Il ne s’agit pas de comprendre, il s’agit de croire”, cioè, “non conta capire, ma credere.” Riportata in vita la moglie, col patto però di non doverla mai più guardare, Orfeo la perde una seconda volta e viene ucciso anch’egli dall’odio della giovane poetessa Aglaonice (Juliette Gréco). Questa volta però la Principessa rinuncia ad avere Orfeo, perché capisce che solo la Poesia, e dunque l’Arte, può sconfiggere la Morte. Orfeo ed Euridice tornano allora alla vita e ritrovano così l’amore coniugale.

Tra realtà e finzione tra vita e morte

“Fate come volete, interpretate come volete”, così Cocteau parla agli spettatori nell’incipit del film. Non gliene importa granché di quel che si possa pensare della sua ambientazione contemporanea e dei probabili rimandi. Cocteau in fondo è come Orfeo, è un poeta che affronta il suo personale viaggio tra realtà e finzione, tra vita e morte, tra coscienza e sogno. E lo fa disseminando le sequenze di specchi, vera porta d’accesso all’Aldilà, ad un altro mondo, come nell’Alice di Carroll.

Il risultato finale è di grande fascino e di notevole impatto visivo, suggestivo e poetico, grazie soprattutto a trovate cinematografiche e a effetti speciali che, seppur oggi possano apparire semplici e naif, concorrono a ricreare un’atmosfera incantata e irreale. E poi cosa dire degli attori? Jean Marais, compagno nella vita di Cocteau, sopperisce ad una certa rigidità interpretativa con un’innegabile presenza scenica che ha nel suo primo, fallito tentativo di attraversare lo specchio il momento più alto. Maria Casares è una splendida Principessa, ennesima perfetta incarnazione di questa grande attrice teatrale, già memorabile come moglie tradita in Amanti perduti di Carnet, capace di conferire sensualità e fascino ad una figura terrificante come quella della Morte. François Périer, l’autista che conduce Orfeo nel Regno dei Morti, ha lavorato in seguito anche in Italia con grandi registi quali Fellini (è l’omicida di cui s’innamora la protagonista in Le notti di Cabiria) e Pietrangeli (è il commesso di libreria che cerca l’amore tramite annunci in La visita). E poi la bellissima e giovanissima Juliette Gréco, nei panni della furiosa Baccante Aglaonice, artista simbolo dell’esistenzialismo e di una vivace e irripetibile stagione culturale.

| autore: Giulio Brevetti (Whipart, 2010)