
Ecco una breve, esemplare pellicola realizzata dal figlio di uno dei grandi pittori impressionisti che in appena 40 minuti dice tanto su amore, sesso, natura e arte. Una gita in campagna (Partie de campagne, 1936), di Jean Renoir, tratto da un racconto di Guy de Maupassant.
Renoir tra pittura e cinema, tra città e campagna
Una delle caratteristiche della grande pittura impressionista è lo studio della natura e delle sue componenti. Artisti come Monet, Renoir, Degas, Manet ricercavano proprio attraverso la natura un nuovo modo di studiare e di riprodurre la realtà. I loro personaggi, solitamente uomini e donne che vivevano nella grande metropoli, tra café, saloni e inarrestabile progresso, ricercavano spesso un contatto diretto con la natura, nei giardini pubblici o privati, nei cortili recintati, sulle rive del fiume. O persi all’interno della campagna, magari in mezzo a una distesa di fiori, chiazze indefinite tra macchie colorate. Dunque, un vero e proprio ritorno alla natura, ai suoi colori, ai suoi odori, alle sensazioni primigenie che può scatenare e far rivivere in chi l’ha da tempo abbandonata.
Proprio quello che scelgono di fare in una placida giornata primaverile Monsieur Defour, commerciante parigino in ferramenta, e la sua famiglia composta da anziana suocera, vivace moglie e avvenente figlia. Al loro seguito anche il bizzarro Anatole, collega di lavoro del padre e promesso sposo, non amato, della figlia. Il loro atteggiamento è tipicamente cittadino, poco disinvolto a contatto con l’ambiente, sin dall’arrivo in un’amena località sulle rive del fiume, presso una trattoria di campagna. Solo la madre e la figlia, inebriate dall’aria rustica, sembrano farsi rapire dalle sensazioni e dalle suggestioni del luogo. Decidono perciò di divertirsi come due bambine sulle altalene poste sotto gli alberi, catturando l’attenzione di due aitanti canottieri in cerca di dolce compagnia.
Noi apparteniamo alla natura
Dopo il pranzo, consumato su di un verde prato, il vulcanico Monsieur Dufour scivola placidamente in un ronfante sonno, e a poco servono gli inviti espliciti della vivace moglie ad andare a fare una passeggiata nel bosco, come ai vecchi tempi. Ne approfittano allora i due giovani che finalmente riescono ad abbordare la madre e la figlia e a portarle in barca a fare una gita sul fiume.

Se la natura è occasione di riposo nonché di confusione per i due uomini (padre e futuro marito), per le donne è invece risveglio dei sensi e voglia di vita. Se la madre riscopre pulsioni da tempo sopite prima con l’altalena poi col corteggiamento maschile, la figlia Henriette sboccia come una rosa e da bambina sull’altalena spicca il volo per divenire donna e conoscere l’amore. Dal suo arrivo, vive infatti un’esplosione di sensazioni e di emozioni, il suo corpo fiorisce ed esulta, e come la Primavera del Botticelli incarna lei stessa la natura e la bellezza. Si meraviglia di quanto strana sia la campagna, e del fatto che sotto ogni filo d’erba si celi un mondo sconosciuto e popolato da tante piccole creature. Tutto però ha un termine, secondo le leggi naturali. Il mesto ritorno, sotto una pioggia pomeridiana, conclude così la gita domenicale in campagna che ha segnato per sempre la vita della giovane Henriette, prima che ritorni alla monotona vita cittadina e a sposare l’insulso Anatole.
Noi siamo la natura, sembra dirci Renoir, e a lei costantemente torniamo, così come ha fatto suo padre prima di lui. Che poi lo si faccia con una macchina da presa o con un pennello poco cambia. Non a caso, il grande regista riempie la pellicola di riferimenti alla pittura impressionista: La Balan’oire, (1876) e Colazione dei canottieri (1880) di Renoir padre, Colazione sull’erba (1862) di Manet, L’assenzio (1875) di Degas. Ma i giochi di rimandi di questo film breve e incompiuto non si chiudono qui: basti sapere che tra gli assistenti alla regia figura anche un giovane Luchino Visconti. Un futuro maestro sulle orme di due giganti.