“Jim arrivò al caffè correndo alle sette e un quarto. Era in ritardo per ottimismo, come sovente. Era scontento di se stesso e temeva di non essere il primo all’appuntamento. Cercò Catherine e non la trovò. Si sedette, aspettò un quarto d’ora e pensò: ‘Una ragazza come lei può esser venuta senz’altro… Ed essersene andata alle sette e un minuto, se non mi ha trovato’. Questo dubbio lo tormentò. Prese macchinalmente un giornale e lo sfogliò. Lo depose, dicendosi: ‘Una donna come lei può aver attraversato in fretta questa sala senza vedermi a causa del giornale, ed essersela battuta’. Si ripetè: ‘Una donna come lei – ma com’è lei?’. E si mise a pensare direttamente a Catherine, per la prima volta. Erano le sette e mezzo. Si disse: ‘Aspetterò ancora un quarto d’ora’. Se ne andò alle otto meno dieci. Catherine, che in materia di tempo era ancora più ottimista di Jim, era andata dal parrucchiere. Si era fatta lavare e ondulare, e arrivò tutta veli davanti al caffè, alle otto, per cenare con Jim.”

Jules è Jim (1962), è una storia assurda e irreale, eppure sembra vera, perché sono veri i sentimenti che la animano quali l’amicizia, la sincerità, l’onestà e, soprattutto, la femminilità ribelle di Catherine, una figura indimenticabile nella storia del cinema, di cui tutti, persino il sottoscritto, sono pazzamente innamorati: la classica stronza viziata, affascinante, insicura, nevrotica, pigra, incostante egoista donna che non si trova ovunque.
Amore, amicizia, morte
Sarebbe riduttivo banalizzare la storia di questo film al classico triangolo (anche perché ci sono molti altri lati in questo poligono). Ci sono tante storie nella storia.
L’amicizia tra i due protagonisti Jules e Jim che, né la guerra combattuta su fronti opposti, né l’amore per la stessa donna, scalfiscono; anzi l’amicizia supera qualsiasi prova e viene di volta in volta rafforzata.
L’amore a vita intera di Jules per Catherine, disposto a tutto pur di non perderla, ad annullarsi, a non vivere, anche disposto a non esserne più il marito, ma a diventarne un semplice condomino, un ripiego, un passatempo, un briciolo di tempo.
La razionalità di Jim che capisce che con Catherine, quando è finita è finita, e cerca di farsi un’altra vita. “Questo è il vetriolo per gli uomini che dicono bugie” dice Catherine, che non pone limiti al suo essere desideratrice di uomini, non pone limiti al suo modo di essere donna, non pone limiti alla sua amoralità ed al suo anticonformismo ribelle; che non accetta la sconfitta quando Jim, contrariamente a Jules, non si asserve a lei e vi rinuncia per costruirsi un’altra vita.
Un ritmo di racconto molto serrato, con gli anni e gli eventi che scorrono rapidamente e con la voce fuori campo che racconta, quasi tutto il film fosse un lungo flashback; bellissime le scene di vita a tre, “i tre matti” e i paesaggi nebbiosi della Lorena. Carina la cenetta a quattro: lei, il marito, il fidanzato e l’amante; tutti amici, tutti insieme, così bisogna essere (?).
Un racconto tenuto sempre su toni leggeri anche quando le situazioni si complicano e diventano imbarazzanti, anche quando si fanno drammatiche, fino alla scena del suicidio, rappresentato con malinconico distacco.
Il film è una visione poetica di un modo di rapportarsi diverso dal conformismo corrente, in cui Truffaut sublima, ma non sopisce, lo spirito ribelle de I quattrocento colpi.
“Soffri? E invece io non soffro più. Non bisogna soffrire tutti e due insieme: quando smetterai tu, comincerò io.”
| autore: Benedetto Naturali