Di questi tempi spesso ci si richiama alle tradizioni come ancora di salvezza contro ogni possibile malanno sociale, sia esso la globalizzazione oppure una fantomatica invasione dello straniero.
L’uomo contemporaneo, pur condividendo socialmente la sua vita, spesso senza alcun ritegno, si sta ritrovando in mano una fitta rete virtuale che, anziché connetterlo e integrarlo, lo imbriglia in paure e schemi e lo lascia cadere nel vuoto di un presente incerto e un futuro ancora su pagina bianca.
Provenendo da solide certezze spesso conquistare con il sudore, ma volutamente allontanate per timore o vergogna, siamo stati condannati a vivere senza traccia, con una memoria a breve termine che quasi sempre zoppica e tradisce, se non subito almeno poco alla volta.
Ci troviamo in un buco generazionale che, con un bagaglio di timori difficilmente gestibile, diventa immediatamente manovrabile: tutti ci raccontano come si stava meglio in quel tempo fantastico e meraviglioso che non abbiamo vissuto, promettendoci la ricetta per tornare indietro andando, però, in avanti (?). L’unico modo per prendere una rincorsa che ci catapulti in un radioso futuro, dicono. Ma lo fanno per ricalco del già detto, con semplicismo demagogico-retorico.
La verità (?) è che nel passato si sta sempre meglio perché è un bagaglio immutabile, consegnato alla bomboniera dei ricordi e al piacere del racconto. Il nostro passato, poi, ci fa sentire protagonisti unici e immutabili, eroi di un tempo che fu(mmo).
E per capire chi eravamo e chi siamo, nel bene e nel male, è utilissimo confrontarsi con ottimi documenti come Furlans di une volte di Anna Fuga che, tra le pieghe delle interviste, fa sì emergere il bello di un’epoca – la vita dei popolani nel periodo della seconda guerra mondiale – ma, soprattutto, il rimosso, la memoria di un periodo in estinzione. Dice la regista: «Bisogna ascoltarli i nostri vecchi, perché sono la memoria di quello che eravamo, perché è da lì che siamo partiti». E, di conseguenza, per comprendere anche dove siamo arrivati e come (siamo diventati).
Con un’avvertenza che mi sento di aggiungere: oltre alla simpatia degli anziani testimoni, tutti intervistati nel 2010, vanno lette anche le pause, gli sguardi che ora s’illuminano ora si rabbuiano per intuire che i racconti, colorati come belle favole, nascondono anni di condanna al grigiore, al freddo, alla fame, alla paura. Quelli che nel 1962 raccontava, ad altezza ragazzo, con poesia e severità, “Gli ultimi” di Padre David M. Turoldo.
E se oggi siamo immersi nell’incertezza e ogni cosa ci preoccupa, pensando di essere sull’orlo del baratro, questi testimoni di un passato ben più estremo del nostro presente ci dicono – attraverso bellissime rughe, radiosi sorrisi, luminosi capelli argentati – che il segreto della sopravvivenza è molto più vicino di quel che si pensi e si chiama spinta all’amicizia, all’amore, alla bellezza. Solidarietà condivisa, non settaria.
Furlans di une volte acquista, pur raccontando dalle voci dei protagonisti episodi autobiografici di vita saldamente ancorati ad un territorio (il Friuli Venezia Giulia) e a una lingua (il Friulano), un valore umano che trascende questi limiti territoriali. È la storia di ogni territorio, in ogni tempo.
Diviso in capitoli tematici (Madre e figlio, Giochi, Vestiti, Corteggiamento, …) e insaporito da canti (come, ad esempio, la struggente “Signore delle cime”) e musiche popolari, tutto parlato in Friulano, ma con sottotitoli disponibili in quattro lingue.
Anna Fuga con primi piani diretti, sinceri, senza fronzoli riesce nel compito di restituire con un’ammirevole naturalezza il ritratto e la dignità di un tempo e di persone autentiche, anche con rapidi inserti fotografici d’epoca e riprese ambientali contemporanee. Non mancano classicissimi modi di dire che scandivano insegnamenti e verità: un’altra delle cose che abbiamo troppo frettolosamente archiviato in nome della nostra modernità molto cool, ma anche very cold!
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“I ğovins no son usâts e vite freade, a son usâts cul paston!” (I giovani non sono abituati alla vita stropicciata, sono abituati al mangime!)
Furlans di une volte
(“Friulani di una volta”, 2016)
Regia: Anna Fuga
Montaggio: P. Candeva, A. Fuga
Mix Audio: L. Bianchi
Con: E. Marcuzzi, D. Felice, L. Contardo, T. Zanello (Durine), A. Pascoli, R. Sgoifo, A. Bernard, L. Vidali, S. Andreutti, S. Andreutti.
Durata: 55 min.