Il fantasy è un genere fortemente politico. Lo ha dichiarato in conferenza stampa, alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Guillermo Del Toro. E lo dimostra in The Shape of Water raccontando una trascinante storia d’amore tra diversi: una donna sola e muta, Elisa (Sally Hawkins), e una misteriosa creatura acquatica, forse divina (Doug Jones), catturata dal governo americano che lo sottopone a diversi esperimenti scientifici nel laboratorio di Baltimora dove Elisa lavora come donna delle pulizie.
È l’America del 1962 proiettata alla conquista dello spazio, ma allo stesso tempo ancorata alla guerra fredda e alle divisioni razziali interne quella rappresentata in The Shape of Water, nella quale si specchia inevitabilmente l’America di oggi, dove la paura per l’altro da sé, la mancata accettazione del diverso come parte organica e integrante della società, sembra di nuovo prevalere, alimentando odii e divisioni.
Proprio nel confronto tra mostruosità e umanità si costruisce la struttura del film e si caratterizzano i personaggi. Ad affiancare i due protagonisti sono il villain Strickland (un sempre grande Michael Shannon), “buon padre” di famiglia disposto a tutto per ambizione; la collega di lavoro di colore Zelda (Octavia Spencer) e il vicino di casa di Elisa, nonché migliore amico, Giles (Richard Jenkins), artista omosessuale e per questo discriminato sul lavoro. Nel tentativo, da parte di questo gruppo di emarginati, di salvare il neo “Mostro della laguna nera” da fine certa c’è tutto il motore della fiaba di del Toro, che celebra il potere dell’amore e dell’empatia sulla paura e sulla mancanza di umanità.
Con il contributo – tra gli altri – di Alexandre Desplat alla colonna sonora e di Dan Laustsen alla fotografia, Guillermo del Toro firma con The Shape of Water il suo film più equilibrato, compatto e riuscito dal Labirinto del fauno, forse un po’ prevedibile sul piano narrativo ma pienamente coinvolgente dal punto di vista visivo ed emotivo. Felici risultano il citazionismo e la personale rielaborazione operata dal director messicano dei generi hollywoodiani: dalla spy story all’horror, dal musical al melodramma, come il sapiente uso dei colori chiama in causa. Solidissimo è il cast che trova soprattutto in Sally Hawkins un’interprete in stato di grazia che ha costruito insieme al regista un personaggio, quello di Elisa, struggente e affascinante.
Del Toro è bravo a farci credere nel suo romanticismo esibito, non privo di una componente sessuale liberatoria, antidoto all’odio, al cinismo sfrenato e senza scrupoli, al sessismo e al razzismo, che abbondano tanto all’ora come oggi.