Oggi è il giorno del compleanno e posso esprimere un desiderio, uno di quelli che non si possono dire, un segreto inconfessabile, la voglia di una vita diversa, la vita che volevo vivere, che forse meritavo anche se non so fare nient’altro che volare, volere volare, come una lucciola. Si, sono una lucciola e questa sera mi spengo, una lucciola come una candelina e non volo più ma vivo.
La tua vita, la mia vita, la nostra vita come poteva essere, come sarebbe dovuta essere. Un sogno a occhi aperti, non svegliatemi più, non bussate che è tardi e la mezzanotte è lontana, non voglio la spesa, non voglio la parmigiana di melanzane, non voglio nemmeno le cinque mila lire. Sogno, desiderio, voglia, volontà, immaginazione. Tutto questo si mostra ai nostri occhi stupiti al teatro Bolivar tra il venti e il ventuno aprile.
Sul palco due attrici, arriverà poi Titti Nuzzolese a mischiare le carte in tavola, severa, austera, bigotta, bisognosa di essere, di esserci. Martina Zaccaro, autrice del testo porta in scena Lucciole, spettacolo che ha vinto qualche anno fa il premio “Le cortigiane”.
Con lei dall’inizio alla fine, dal sogno alla realtà passando per la vita che verrà Roberta Misticone, madre e sorella dalle mille sfaccettature, sempre sopra le righe, colorata, che splende di luce propria, come una lucciola, e vola per mille registri tra il dramma e la commedia.
Quando ci svegliamo dal sogno che vorremmo, dal desiderio realizzato, sul palco Martina Zaccaro interpreta una ragazza disabile, una mongoloide come dice Ciro, anche se Ciro è stronzo ci ricorda la madre, Roberta Misticone, che interpreta proprio una lucciola, quella che vola a braccia aperte, per la figlia, quella che porta gioie dove gioia non c’è, per il resto del mondo, per la sorella.
Siamo a casa di questa strana famiglia, madre e figlia, unite da un profondo legame, complici nella tragedia che vivono quotidianamente, unite nelle difficoltà di tutti i giorni, quelle più semplici, come pettinare i capelli, alzarsi e ballare, parlare.
Una casa disordinata, caotica ma viva e colorata che ricorda gli appartamenti degli anni settanta e certi film di Almodovar, un divano coperto da vestiti, una tavola, una cucina, un mobile televisore.
Roberta Misticone, dopo aver immaginato la vita che vorrebbe, a litigare con la figlia, Martina Zaccaro, per cose banali, come leggere un libro, fare i servizi, riparare una lampadina, gesti ai quali non prestiamo la minima attenzione, si prepara per andare a lavoro, di notte, a illuminare altri sogni, i sogni degli altri.
Quando irrompe sul palco la sorella, Titti Nuzzolese, diversa già nei colori, sobria, giusta, moglie perfetta in un matrimonio perfetto con due figli e un marito perfetto. Il giorno e la notte, il sole e la luna, la calma e il caos. Parti di una stessa medaglia, una sola bilancia dall’equilibrio instabile dove l’ago pare essere proprio la ragazza sulla sedia a rotelle, il litigio è dietro l’angolo, lo scontro inevitabile.
Tante scomode verità in questa commedia di un atto, poco più di un’ora per raccontarci un dramma familiare tra visioni oniriche e tristi realtà.
Martina Zaccaro non ha paura di dire le cose come stanno, di raccontarci quello che alle volte non diciamo nemmeno a noi stessi guardandoci allo specchio. Della forza che ci vuole per andare avanti quando la vita che volevi è rimasta indietro e di come l’amore da solo non basta. Del bene che facciamo, pensando di essere bravi a immolarci e di come avevamo invece bisogno di questo bene donato. Della cattiveria delle persone, brave solo a puntare il dito e di come facciamo gli scemi per non andare alla guerra, quando voliamo basso proprio come le lucciole.
Delle lucciole, che possono solo volare, perché questo sanno fare e di come siano belle quando le incontriamo per strada, agli angoli bui a illuminare i nostri sogni.
I sogni cantati, quelli ballati, quelli che Martina Zaccaro, Roberta Misticone e Titti Nuzzolese portano in scena al Teatro Bolivar, per due notti, due notti soltanto a illuminare i nostri occhi luccicanti e umidi quando si accendono le luci e scrosciano gli applausi.