Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Terza parte

Il quinto peccato capitale della nostra civiltà è il DETERIORAMENTO DEL PATRIMONIO GENETICO

Questo capitolo inizia con una constatazione, cioè che «la formazione e la conservazione di comportamenti sociali utili alla comunità ma dannosi al singolo pongono (…) un arduo problema a ogni tentativo di spiegazione che si fondi sui principi della mutazione e della selezione».

A questo punto ci parla della taccola, il corvo, e dice che spesso gli individui di questa specie partecipano alla difesa di un loro simile posto sotto l’attacco di un predatore. Qui parliamo in sostanza di un comportamento altruistico e Lorenz si chiede «che cosa impedisce che all’interno del gruppo nascano degli individui privi del carattere che determina tale reazione di difesa cameratesca?»
Ora, difendere un proprio simile è sempre pericoloso, quindi è chiaro che questo atteggiamento «deve apportare un vantaggio selettivo all’individuo che ne è colpito». Nella società umana abbiamo sia il comportamento altruistico sia il comportamento asociale. Di fronte al soggetto asociale, alcuni uomini s’indignano. Inoltre, di fronte alla violenza contro un bambino, anche l’uomo più pacifico reagisce. Perché?

Copertina del libro di K. Lorenz

Per dare una risposta, Lorenz apre una piccola parentesi sugli studi giuridici comparati. Se si comparano le strutture giuridiche elaborate da diverse culture, ci si rende conto che hanno molte cose in comune che non possono essere spiegate «sulla base di rapporti storico-culturali».
A questo punto riporta una lettera dello studioso di diritto comparato Peter H. Sand: «(…) la presenza di coincidenze innegabili e relativamente numerose è stata spiegata sino a oggi sulla base di tre argomentazioni diverse: la prima, d’impostazione metafisica, fa riferimento al diritto naturale (e corrisponde alle teorie vitaliste nelle scienze biologiche); la seconda è di carattere storico (scambio d’idee per diffusione e contatto tra i diversi sistemi giuridici, cioè comportamento appreso per via imitativa); la terza, infine, è ecologica (adattamento alle condizioni ambientali, e cioè alle infrastrutture; si tratterebbe quindi di comportamenti appresi attraverso un’esperienza comune). A queste argomentazioni se n’è aggiunta di recente un’altra, di carattere psicologico: il comune senso della giustizia (idea istintiva!), che avrebbe origine da esperienze tipiche dell’infanzia (…) Questo nuovo indirizzo si distingue dagli altri principalmente per il fatto che il fenomeno sociale del diritto viene ricondotto a strutture individuali, e non all’inverso, come avveniva nelle teorie giuridiche tradizionali. Ciò che invece è deplorevole, a mio parare, è questo continuo insistere su comportamenti appresi, trascurando la possibilità che esistano, anche in questo campo, comportamenti innati (…)».

Lorenz dice di condividere appieno le constatazioni di Sand, anche se ammette la difficoltà che la cosa possa essere dimostrata. E aggiunge: «Qualunque sia il risultato a cui approderanno in futuro le ricerche sulle origini filogenetiche e storico-culturali del senso della giustizia nell’uomo, possiamo considerare scientificamente dimostrato che la specie Homo Sapiens dispose di un sistema di moduli comportamentali altamente differenziati il cui scopo (…) è di eliminare i parassiti che rappresentano un pericolo per la comunità».
In ogni caso il dibattito se un comportamento criminoso è dovuto a un qualcosa d’innato o al contesto sociale, è molto acceso e irrisolto anche nell’ambito della criminologia. Lorenz comunque aggiunge che «se tutti i caratteri filogeneticamente programmati fossero ipso facto non influenzabili dall’apprendimento e dall’educazione, l’uomo sarebbe lo zimbello irresponsabile dei propri impulsi istintivi».

Cultura e natura

In sostanza, lui crede che ci siano dei comportamenti innati, ma l’uomo è un animale culturale e la sua storia dimostra che mediante la cultura è riuscito a tenere a bada questi istinti, anche se recenti studi psichiatrici dimostrano, ad esempio, quanto impossibile sia recuperare una persona anaffettiva rendendola un individuo socializzato.  In sostanza, anche se ritiene che ci sia la possibilità di una componente genetica nel crimine, in quanto al senso di giustizia nell’uomo è più netto asserendo che esso esiste anche se difficilmente dimostrabile.
«Non vi è dubbio che questo misterioso senso della giustizia, di cui parla P.H. Sand, è costituito da un sistema di reazioni radicate nel nostro genoma che ci spingono a opporci al comportamento asociale dei nostri consimili. Esso rappresenta il tema fondamentale, immutabile attraverso le diverse epoche storiche, le cui variazioni, indipendenti l’una dall’altra, sono i sistemi morali e giuridici delle singole culture. È indiscutibile che questo irrazionale senso della giustizia ha in sé, similmente a qualunque altro tipo di reazione istintuale, la possibilità di errori grossolani. Si uccidono, con lo stesso compiacimento di chi compie un atto di giustizia, sia persone che appartengono a una cultura diversa e contravvengono, senza accorgersene (…), a una norma sociale, sia i membri del proprio gruppo sociale che hanno commesso, anche senza colpa, un’infrazione contro i tabù della propria cultura».

Dal senso della giustizia, quindi, originano comportamenti contrastanti. Questo senso della giustizia, aggiunge Lorenz, ha la stessa funzione della tiroide così come ha spiegato nell’introduzione del libro. Asportarla, come si faceva un tempo, è pericoloso. Il senso della giustizia innato nell’uomo rischia di essere asportato attraverso la tendenza alla tolleranza assoluta cosa «che viene resa ancora più pericolosa dalla dottrina pseudo-democratica che considera ogni comportamento umano come frutto dell’apprendimento. Certo, gran parte dei nostri comportamenti sociali e asociali sono dovuti alle influenze benefiche o malefiche esercitate, durante la prima infanzia, da una coppia di genitori più o meno comprensivi, responsabili, e soprattutto emotivamente sani. Ma altrettanto importante, se non di più, è la parte del nostro comportamento che è condizionata per via genetica».

Il problema è che il nostro sistema economico agisce proprio su questo senso innato della giustizia. Se da un lato quindi, diciamo dal punto di vista politico, si va verso la tolleranza assoluta degli atteggiamenti criminali, dall’altro abbiamo un sistema economico in cui i valori quali la bontà e l’onestà sono messi al bando. Nella selezione dei mercati, che è prima di tutto una selezione comportamentale, vince chi nega questi valori, andando a intaccare quel patrimonio genetico che ci ha permesso di arrivare fin qui.

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