La valigia pronta per un ritorno all’ultimo secondo nella capitale, con un cappellino in testa e un sorriso stampato in faccia. Vinicio Marchioni al teatro Bolivar domenica 17 novembre dopo un intenso spettacolo dispensa strette di mano calorose, parole buone con tutti e immancabili fotografie per un ricordo con l’attore che ha portato in scena il suo essere romano a Napoli per quella che probabilmente è l’ultima data del tour di Tra sacro e profano che lo ha visto in solitaria ascesa calcare i palchi con uno sgabello, un leggio e un blocco di fogli volanti. Poesie, letture, testi.
Un bagaglio di parole per celebrare Roma, un ritorno a casa, alle origini, ai maestri. Un viaggio nella città dalle mille contraddizioni, tra i vizi e le virtù dei romani, spacconi per antonomasia, abituati a vivere con il sacro fardello in patria. Dietro alle mura di quella città del Vaticano nessuno sa veramente quello che succede e loro da duemila anni sono abituati a vivere così, con una serpe in seno e un crocifisso sul petto. Un viaggio, quello di Marchioni, tra sacro e profano, per l’appunto come suggerisce il titolo del reading, ma un viaggio anche tra il serio e il faceto, tra il sorriso e la lacrima dove il dialetto romano vince sulla lingua aulica, su quell’italiano che nessuno parla davvero, se non i doppiatori.
Un viaggio nel mondo della poesia che ha fatto grande Roma e i romani, che ha deriso il clero, che ha pontificato sui luoghi comuni e sui comuni cittadini. Tante tappe, tutte diverse per una scaletta che cambia seguendo il temperamento dell’attore e l’atteggiamento del pubblico in sala. Fogli che volano, testi che cambiano perché cambiamo noi, cambiano le persone in un dialogo continuo tra Vinicio Marchioni e gli spettatori presenti. Un viaggio che vede l’attore essere comandante di una nave che molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.
Giuseppe Gioacchino Belli, Trilussa, lo stesso Fosco Maraini, Dario Bellezza, Franco Califano e Gigi Proietti, Petrolini, tanti gli artisti chiamati in causa per un omaggio al cinema, al teatro, alla poesia, per una serata divertente al limite dell’intimità senza musica, senza fronzoli, senza scenografia. Solo la parola letta, usata, sputata, urlata, storpiata. Solo quella basta a un grande attore per raccontare la sua Roma, l’essere romano tra grandi elogi e volgari rime, tra la bella Cesira fatta di plastica, costata cara, ma tanto cara e il ricordo di un padre che non c’è più.
Mio padre è morto partigiano.
Tante le frecce all’arco di Vinicio, tante le frecciatine lanciate, le frasi pungenti che la parola si sa è potente, che la poesia il mondo in qualche modo può sempre salvarlo. Ma adesso il popolo comanda? Chiedi il padre partigiano, chiede un attore sornione sul palco, si chiedono le persone attonite sedute per poi parlare di asini saliti al potere vestiti da leoni, di cani fastidiosi e di una vecchia bufecchia, biribisconfecchia e falomecchia.
Una notte d’amore per la parola scritta e recitata grazie alla direzione artistica del Teatro Bolivar ‘Nu Tracks e la casa di produzione teatrale e cinematografica Anton Art House fondata nel 2018 da Vinicio Marchioni e Milena Mancini.
Grazie sempre a Emilia Vitulano per le foto