Venezia 79 – Love Life

Considerato uno dei maggiori autori del cinema giapponese contemporaneo e già premiato a Cannes con il Premio della Giuria di Un Certain Regard per Harmonium, Koji Fukada sbarca in Concorso a Venezia 79 con il suo nuovo lavoro, Love life. Protagonista del film è Taeko (Fumino Kimura), la cui vita scorre tranquilla accanto al marito Jiro (Kento Nagayama) e al figlioletto Keita, sino a che un evento drammatico segna il ritorno del padre biologico del bambino (Atom Sunada), di cui la donna non aveva notizie da più di quattro anni. In mezzo, un rapporto con il suocero acquisito tutt’altro che pacificato e un’esistenza in cui sembra mancare qualcosa a ognuno dei personaggi che la macchina da presa scandaglia con occhio (im)pietoso.

Love Life, un prima e un dopo. Un prima costruito su un’apparente quiete familiare, e un dopo innescato da un tragico incidente che conferisce al film un tono diverso, spingendo i personaggi su nuove traiettorie: una famiglia in cui tutti vivono vicini ma che in qualche modo rappresenta un conglomerato di solitudini incapaci di incontrarsi davvero. Una famiglia allargata, certo, come sempre più spesso vediamo accadere all’interno delle opere del nuovo cinema nipponico, in cui il problema più evidente è quello della mancata condivisione dei sentimenti – la gioia prima e il dolore poi -, non vissuto paritariamente dal punto di vista emotivo e finanche operativo.

La distanza, come concetto, come forma, rappresenta un elemento importante del film, e il fatto che l’ex compagno della protagonista sia coreano ha un significato tutt’altro che irrilevante (sono noti a tutti i rapporti non idiallici, per usare un eufemismo, tra i due Paesi). I genitori di Jiro vivono nel condominio di fronte a quello di Taeko e del figlio, e Park sul finire dell’opera si trasferisce per un po’ a casa loro: la vicenda si muove come sospesa tra questi due condomini e la piazza antistante. Questo spazio ridotto tra le abitazioni e più in generale tra i vari luoghi di condivisione emozionale, viene mostrato al pubblico con un numero esiguo di tagli di montaggio, mantenendo la continuità dell’inquadratura. Una scelta precisa, che approccia intelligentemente alla costruzione narrativa, fornendo allo spettatore tutti gli strumenti necessari alla comprensione del testo filmico senza chiamare in causa didascalismi e sottolineature.

Un cinema, quello di Fukada, che guarda sì a quello del suo contemporaneo Hirokazu Kore’eda, ma anche e soprattutto a quello di Eric Rohmer: le dinamiche post-traumatiche vedono i personaggi fare i conti con un vuoto (forse) incolmabile e anche con la presenza di un nuovo centro rappresentato dal ritorno di Park, padre biologico di Keita scomparso nel nulla. Ed è proprio in questo contesto che le dinamiche dei sentimenti e i giochi di coppia assumono i toni rohmeriani di cui sopra, giungendo anche a una serie di situazioni simmetriche in cui i due coniugi si lasciano temporaneamente, alla ricerca della vacuità degli amorosi sensi, per rimettersi ciascuno con il proprio ex.

Il cineasta nipponico accompagna per mano lo spettatore in una vicenda che appassiona e commuove, grazie a un’inusitata capacità di unire leggerezza e dramma, che si alternano e si mescolano senza soluzione di continuità nell’arco della narrazione. Lo fa con la grazia del tocco di una scrittura sempre misurata ed equilibrata, con il rigore formale di una messa in quadro geometrica, pulita e mai invasiva, ma sopratutto con un’attenzione costante e un amore tattile per i personaggi, consentendo a Love Life di intraprendere un tortuoso viaggio nei sentimenti e negli stati d’animo di uomini e donne messi alla prova dall’arrivo improvviso e inaspettato di un terremoto, emotivo sì ma che finisce per irrompere prepotentemente all’interno della diegesi con chiaro riferimento metatestuale.

Presentato in Concorso alla 79. Mostra del Cinema di Venezia, Love Life uscirà nelle sale italiane il 9 Settembre grazie a Teodora Film.

Love Life