Napoli sempre più protagonista di serie tv, fiction e cinema. Napoli protagonista anche della 78. Mostra del Cinema di Venezia in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e Qui rido io di Mario Martone, entrambi accolti con entusiasmo dalla critica italiana, entrambi interpretati da Toni Servillo, autentico mattatore del Festival con tre titoli al Lido (Anche Ariaferma di Leonardo Di Costanzo) al pari di Oscar Isaac.
Come spiega il regista Martone, Qui rido io è l’immaginario romanzo di Eduardo Scarpetta e della sua tribù. Nella Napoli della Belle Époque, a cavallo tra Ottocento e Novecento, Eduardo Scarpetta (Toni Servillo) è un mattatore e commediografo popolarissimo che ha costruito la sua fama e fortuna economica sul consenso delle pubblico, riuscendo con il personaggio di Felice Sciosciammocca a soppiantare nell’immaginario popolare la maschera della Commedia dell’Arte Pulcinella, dando al contempo il la al teatro dialettale moderno.
La caduta della maschera
Quello che vediamo sin dall’inizio del film è l’incessante simbiosi tra arte e vita che connota l’esistenza di Eduardo Scarpetta, patriarca debordante e debordante di un clan formato da moglie (Rosa De Filippo, interpretata da Maria Nazionale), amanti, figli legittimi e illegittimi (tra cui Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, mai riconosciuti, nati dalla relazione con la nipote della moglie, Luisa, cui dà volto Cristiana Dell’Anna) destinati a calcare il palcoscenico con il resto della sua compagnia teatrale, di cui fanno parte anche Gianfelice Imparato, Iaia Forte, Antonia Truppo. A turbare Scarpetta non sono però solo le convulse dinamiche familiari interne – le ritrosie dei figli a raccogliere l’eredità paterna, Peppino che, tornato a vivere con la madre, fatica a integrarsi – ma il suo futuro professionale.
La sfida che ha intrapreso è infatti tra le più rischiose: mettere in scena la parodia della tragedia La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, dal quale si reca per chiedere l’autorizzazione a procedere. La sua mossa non ha il successo sperato e, la sera della prima, lo spettacolo viene interrotto dai fischi e dalle rimostranze degli intellettuali seguaci di D’Annunzio e di un nuovo teatro (tra questi, il poeta Salvatore Di Giacomo, il giornalista Roberto Bracco, il musicista Libero Bovio). Lo stesso Vate tramite la Società Generale degli Autori denuncia per plagio Scarpetta, avviando la prima storica causa sul diritto d’autore nel nostro Paese. Il processo segna allora l’apice della crisi del grande teatrante partenopeo, ferito dal fallimento della parodia e spaventato dallo spettro del tempo che passa, che si riflette nel lento ma inesorabile cambiamento di gusti del pubblico, attirato sempre più dal cinematografo. Sarà ancora una volta il suo talento comico ad aiutarlo in tribunale, oltre alla difesa di Benedetto Croce?
Condensando in Qui rido io molti dei suoi temi più cari, Martone – che ha scritto la sceneggiatura con la moglie Ippolita di Majo – dirige un omaggio al teatro comico napoletano e in generale alla dignità e all’eredità del teatro leggero, popolare, votato alla risata. Attraverso la rappresentazione delle private debolezze di Eduardo Scarpetta e del processo per plagio che lo vide protagonista, il regista affronta anche altri temi, dalla paternità – creativa e biologica – al limite della satira, fino all’eterno, e sempre attuale, scontro tra dimensione autoriale e commerciale di un’opera d’arte. È un film dai profondi intenti filologici, Qui rido io, che sa governare l’eccesso insito nelle vicende dell’istrionico Scarpetta, restituendo nelle scelte registiche il cortocircuito tra vita e teatro che caratterizza l’attore napoletano.