
Un ticchettio metallico, stridulo, acre, sparato ad tutto volume: è la colonna sonora che ci introduce al/nel mondo interiore de “Il costruttore Solness“, anziano architetto che gestisce uno studio professionale. E in questo quadro d’interni, dove l’aria, anzi l’ossigeno fa parte solo di un passato evocato, anche il suono (così come un accenno di ironia distensiva) sembra essere stonato.
Havard Solness (Umberto Orsini) è al massimo del suo splendore e in bilico sul baratro della decadenza; lo viviamo nel suo studio, nell’ambiguo rapporto con la sua giovane segretaria e con un collega sottomesso il cui padre tenta invano una disperata raccomandazione. In questo quadretto della miseria umana, tra figure tiranniche o annullate dalla vita, si inserisce perfettamente la moglie, totalmente evaporata nella depressione in una vita segnata dalla scomparsa dei figli. Un equilibrio ben poco bilanciato quello che ruota attorno a Solness, facilmente gestito con le armi della dittatura psicologica, ma pronto ad incrinarsi definitivamente anche per il ritorno di Hilde, una ragazza colpevolmente amata anni prima. Hilde incrina la patina di falsità vestita da Solness e lo spoglia della sua ambizione e dall’assenza di felicità, mettendo in primo piano la sua paura di oblio.
Nelle bellissime scene studiate per l’occasione, dominate da gigantesche e grige pareti verticali semoventi che schiacciano Solness e i co-protagonisti alle loro miserie e responsabilità, restituendone il peso morale e l’asfissia mentale, il protagonista si confronta con i pochi elementi sulla scena, materiali ed umani, con apparente solidità, ma con una crescente frammentazione e destrutturazione interiore.
È un percorso di recupero delle colpe rifiutate e rimosse e di progressiva liberazione sporcata dalla distruzione.
Straordinario il millimetrico lavoro del regista Alessandro Serra che dimostra un superbo talento nel costruire un meccanismo drammaturgico ad orologeria; lo fa guidando spostamenti, volumi e tensioni narrative e mantenendo inalterata una pressione emotiva densamente claustrofobica.
Egregiamente coadiuvato da precise scelte di illuminazione della scena che raggiungono vette tangibili nella scena della psicoanalisi e in quella dello “specchio rivelatore”, con tutto il corredo di riflessi/abbagliamenti di natura psicologica prima che fisica.
Interpretato magistralmente da un Umberto Orsini che trasferisce a Solness una livida solennità sociale pronta a precipitare nel gorgo di intime sabbie mobili, Solness è un testo che non lascia scampo, in cui Ibsen ci mette inesorabilmente di fronte alla pochezza miserabile delle opere umane, rispetto a quelle morali e sociali.
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
presenta:
Il costruttore Solness
da Henrik Ibsen
con Umberto Orsini e
Lucia Lavia, Renata Palminello, Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago
e con Flavio Bonacci
uno spettacolo di Alessandro Serra
PRODUZIONE: COMPAGNIA ORSINI – TEATRO STABILE DELL’UMBRIA
Durata: 100 min., atto unico.