Tom Wolfe è morto nel 2018 alla veneranda età di 88 anni, fino alla fine lucido e attivo nel pensiero. Forse al pubblico italiano, che non si interessa di giornalismo e di letteratura americana, questo nome non dirà nulla. Ma stiamo parlando di un “decano”, un “arbitro” del costume e della critica d’arte. Le sue idee sulla società e sulla letteratura hanno fatto molto discutere negli Stati Uniti.
Wolfe aveva fiutato le vie dell’individualismo contemporaneo
Qualche anno fa – e sono quasi dieci oramai – la nota rivista Time uscì con una copertina di quelle che non passano inosservate: vi appariva una giovane sdraiata nell’atto di farsi un selfie. Il titolo della discussione è “The Me Me Me Generation”, con riferimento ai millenials e alle loro abitudini di pigri narcisisti. Già allora non sfuggì un possibile confronto con l’analisi del vecchio Tom Wolfe di decenni prima.
Wolfe è stato un giornalista effervescente, osservatore compiaciuto quanto basta da un non mettere un tono di eccessivo moralismo nei suoi resoconti, ma sempre una tagliente ironia, quasi una arguta cattiveria. Come in Il decennio dell’Io (titolo originale: “The Me Decade and The Third Great Awakening”), breve saggio sulla società contemporanea e sul costume pubblicato nel 1976. Tale è stato il successo di questo testo che il suo titolo è divenuto un modo di dire imprescindibile per definire con precisione quella certa cosa che è avvenuta nella società americana, e non solo, a partire dalla metà degli anni sessanta. Il fatto è che Wolfe ha colto un fenomeno di proporzioni enormi, per come stava cambiando in modo globale l’idea di convivenza e relazione tra gli esseri umani nel mondo occidentale.
Basta guardarsi al telefono!
Chi ci salverà dai selfie? ci chiediamo oggi… Ma si tratta tutto sommato di una pratica innocua. Un peccato veniale dell’Io; un qualcosa che rimane molto in superficie, che non intende approfondire, ma soltanto svelare, quasi un segnale della propria presenza in una interminabile sequenza di dati sensibili che quotidianamente regaliamo con leggerezza al world wide web – salvo poi pubblicare patetici post nell’intento di salvaguardare le nostre libertà e l’uso che qualcuno potrebbe farne…
C’è stata un’epoca in cui questa ondata di esaltazione del sé era in grado di aggregare in un unico spazio, diciamo in qualche ettaro di terreno, migliaia di persone; di spingere una massa di gente, spesso istruita a un livello più che accettabile, a seguire le smorfie del guru di turno: questa è l’epoca che Wolfe ha immortalato nelle pagine di questo suo libello. L’arricchimento della società è un argomento per dimostrare come certe manie “aristocratiche” hanno finito per caratterizzare anche la abitudini di quelle che in altri tempi sarebbero state definite “classi subalterne”, la “working class”, eccetera.
Wolfe lo definisce “il boom dei trent’anni”: “Negli anni Quaranta i consumi bellici degli Stati Uniti diedero vita a un boom che ha proseguito per oltre trent’anni. Questo fenomeno ha pompato quattrini in ogni strato sociale della popolazione in una proporzione che non ha riscontro nella storia di ogni altro Paese.”
All’inizio di questa epopea i Pentacostali negli USA già si davano all’“holy-rolling” senza ritegno. Dentro e fuori i rigidi schemi sociali stava per succedere qualcosa.
Sette, complotti e degenerazioni
Tutto è cominciato, se vogliamo, con il movimento hippie, nella seconda metà degli anni sessanta. La liberazione dell’Io, suffragata, ad un altro livello, dalla sociologia e dalla psichiatria. Un movimento che si è sfrangiato negli anni settanta sulle lame affilatissime di personalità carismatiche con forte propensione al dominio sull’altro, prendendo inaspettate pieghe e poco allegre. Nel libro si fa riferimento ad alcuni gruppi o sette, che fiorirono in quella decade e che furono motivo di curiosità ma anche di preoccupazione per la società statunitense e non solo.
Synanite men, cioè gli uomini di Synanon, usavano rasarsi la testa e indossare delle simpatiche salopette, e le donne facevano più o meno lo stesso. E quindi si può immaginare che una atmosfera vagamente camp regnava alle affollate riunioni di questi bonzi del Grande Risveglio. Ma le cose che succedevano là dentro finirono ben presto per attirare l’attenzione delle autorità. Synanon, o la Chiesa di Synanon, era nata come comunità che si occupasse della riabilitazione dalle droghe e l’impatto con la cura disintossicante era, a quanto pare, molto poco friendly…
Scientology invece la conosciamo bene: è una religione e una chiesa, molto diffusa e che vanta centinaia di tentativi di imitazione. L’organizzazione fondata da Ron Hubbard sembra godere ancora buona salute, nonostante la defezione negli anni di alcuni vip intimoriti probabilmente dalla cattiva stampa e dalla possibilità di rimanere invischiati in qualcosa di controproducente. L’organizzazione continua a lucrare spavaldamente grazie a un format di successo e a slogan come “la prevedibilità della scienza e la saggezza della religione si fondono” (bingo!).
Il più delle volte il segreto è fare leva sulle paure e sulle aspirazioni segrete della gente, facendo uso di qualche suggestione forte per attirare l’attenzione (essa può derivare da argomentazioni pseudo religiose, millenarismi e escatologie complesse, dall’esistenza e influenza degli alieni, dalla immancabile “teoria del complotto”), e porre un obiettivo e un traguardo: la totale liberazione del proprio Io – dalle convenzioni sociali, dalla legge, financo dalla morale.
Wolfe fa cenno a personalità che si sono così imposte, alcune molto conosciute a livello globale altre meno. Stephen Gaskin ad esempio che con la sua “Farm” aveva creato un modello hippie e attivista.
Molto noto al pubblico italiano è il guru Osho – i suoi libri sono dappertutto! –, personaggio controverso e per molti tratti “oscuro”. Nelle sue conferenze pubbliche sibilava di meditazione e liberazione; ma la nostra arma è la consapevolezza che non si può inneggiare alla libertà totale senza risolvere il problema dell’ordine sociale: le due cose non dovrebbero essere in contrapposizione.
La pubblicità
Dal canto suo Wolfe coglieva già i motivi d’allerta verso tali potenti espressioni dell’Io.
Anche la pubblicità e la comunicazione con le sue forsennate campagne per vendere un prodotto o una idea facendo leva sulla nuova sensibilità sviluppata dalle masse è un fatto.
Uno slogan può fare molto, e nel libro si ricorda il caso della copywriter Shirley Polykoff, che nel ’61, lavorando per una società che produceva tinture per capelli, usò questa frase epocale: “Se ho una sola vita, lasciatemela vivere da bionda!”.
Aggiunge Wolfe: “In un unico slogan aveva riassunto quello che si poteva descrivere come l’aspetto secolare del Decennio dell’Io: «Se ho una sola vita, lasciatemela vivere da __________». (Non avete che da riempire le spazio vuoto).”
Dunque, lo vediamo tutti, la pubblicità a sua volta fa leva sui bisogni dell’Io per spopolare. Nell’omologazione capitalistica che ci attanaglia nessuno può dirsi salvo rispetto a questa cosa.
…Senza contare il ruolo centrale che sembra giocare la donna, e il suo corpo in questo discorso. Wolfe ricorda di aver incontrato Germaine Greer a una cena, a Londra; al tempo la nota femminista – che ci viene descritta in poche righe come un soggetto abbastanza…incontinente – era impegnata con Jim Haynes nel lancio di una nuova rivista che si proponeva la liberazione dei costumi sessuali. Il titolo era alquanto esplicito: “Suck”… Anche in questo, fare un parallelismo tra il concetto di liberazione di quel decennio con quello in voga oggi, ci porterebbe a riempire quintali di colonne della nostra ipotetica rivista; ma a questo punto ci limitiamo a dire con il nostro autore che, semplicemente, si stava compiendo allora lo “strano viaggio dalla sessuologia alla teologia”.
“Il Primo Grande Risveglio, come è noto agli storici, si verificò intorno al 1740 e fu capeggiato dai predicatori della Nuova Luce […]. Il Secondo Grande Risveglio si ebbe nel periodo che va dal 1825 al 1850 e assunse le fome di un revivalismo ancor più sfrenato, più violento, addirittura rissoso, di cerimonie in cui la gente abbaiava, latrava, cadeva in crisi isteriche e deliqui, si rotolava per terra, parlava in altre lingue, e non mancava la spruzzatina orgiastica.”
Il grande risveglio
Dopo questa, pur breve carrellata, il nostro selfie ci appare sempre più un frivolo interfacciarsi con la rete mondiale e i suoi sistemi di aggregazione, esprime una necessità individuale e forse un piacere, e probabilmente non ci dice molto sulla nostra capacità di bastare a noi stessi. Il problema è non cadere nella volontà di altri.
È proprio così difficile cercare di avvicinarsi al prossimo senza sovrastrutture, in modo sano e se possibile disinteressato? Il mondo oggi chiama noi, restii, a relazionarci con l’altro, una pratica che si può rinnovare: ecco che questa rete planetaria potrebbe aprirci dei varchi verso la vera salvezza.
Il Terzo Grande Risveglio ha la coda molto lunga è vero, ma non facciamoci prendere dagli allarmismi; e come dire, riprendendo un vecchio slogan…meditate gente, meditate…