Allegra, Astrolabia, Armida, Petronilla, Zaira, Egea… Non fatevi ingannare dai nomi, dietro di essi ci sono persone e fatti, tranches de vie, che Francesca Vitelli ci racconta nel suo Sirene si nasce. Le avventure di Allegra & co. , edito dalla casa editrice ilmondodisuk, e arricchito dalle illustrazioni di Maria Carolina Siricio. Donne, amiche, che sfatano con il loro affiatamento e la loro ironia il luoghi comuni dell’amicizia femminile. Donne appassionate del proprio lavoro, ma con tutta la leggerezza possibile. Attraverso le loro avventure quotidiane entriamo nel mondo della nostra scrittrice: Francesca Vitelli, napoletana, è consulente di enti pubblici, associazioni e imprese nonché autrice di saggi di argomento economico e racconti.
Abbiamo voluto conoscere meglio Francesca rivolgendole qualche domanda.
(W) Prima di tutto una domanda quasi di rito, un salto alle origini. Come è nato il suo rapporto con la scrittura e cosa può rappresentare questo per una donna come lei, una professionista abituata a operare nel tessuto economico della sua regione?
(FV) Il rapporto con la scrittura è nato nella prima infanzia. Dall’età di tre anni ascoltavo incantata i racconti della mia prozia e vedevo genitori e fratelli maggiori seduti a uno scrittoio, in poltrona o stesi sul letto assorti in libri e fumetti – per studio, per lavoro e per diletto – tutti i giorni. A quattro anni – impaziente di imparare a leggere e scrivere- mi fu accordata la possibilità di esprimere un desiderio per un regalo da ricevere in una ricorrenza e non ebbi tentennamenti: una macchina da scrivere solo per me. Fu amore a prima vista. Era grigia e arancione e notevolmente pesante ma, incurante di ciò, la trascinavo ovunque, era la chiave che apriva la porta per un mondo fantastico: quello delle storie da raccontare. Quanto sia importante il rapporto con la scrittura per un libero professionista? Credo che sapersi esprimere in modo corretto, avere proprietà di linguaggio e catturare l’interesse delle persone che ci ascoltano sia importante per tutti, ancor di più per un libero professionista. Viviamo, purtroppo però, in un’epoca nella quale tra la cultura e la professionalità e la capacità reddituale la maggior parte delle persone attribuisce maggior importanza alla seconda valutando gli interlocutori esclusivamente in base a quel che possiedono ponendo, poca o nessuna, attenzione a quel che sono e alle loro qualità, competenze, conoscenze e abilità. In un tempo non lontanissimo saper scrivere un biglietto di ringraziamento, una lettera di presentazione, un invito e saper sostenere una conversazione brillante era requisito minimo per avere una vita sociale e lavorativa, oggi le regole sono cambiate. Lavorare nel tessuto economico della mia regione, la Campania, come consulente aziendale non è cosa facile, incontrare imprenditori e imprenditrici, uomini e donne lungimiranti dotati di una visione è cosa rara, di commercianti ce ne sono tanti.
Lei è di Napoli, grande realtà del sud, ma anche territorio tormentato. So che si è occupata anche delle difficoltà che le donne hanno incontrato e incontrano quotidianamente confrontandosi con tale realtà. Nei suoi racconti, sotto una patina di ironia e di leggerezza, questo si evince. Ma questa ironia e leggerezza sono un arma o piuttosto un modo di affrontare le cose senza esserne travolte? E in generale quale è stato il suo approccio a questa realtà, da scrittrice?
Parafrasando Einstein credo che l’ironia sia un’intelligenza che si diverte, essa è un modo di essere e di affrontare la vita seriamente senza essere seriosi, è la leggerezza necessaria a sopravvivere a quanto ci accade senza scivolare nella superficialità, l’ironia è l’antitesi della banalità ed è sì anche un’arma sottile per dire, con eleganza, quel che si pensa senza autocensurarsi. Sceglierla come registro narrativo è stato un cimento arduo, chi si avventura sulla strada di una scrittura che fa dell’ironia la sua cifra stilistica sceglie un terreno sdrucciolevole, il rischio che la scrittura sfugga di mano è sempre in agguato. Mi sono chiesta più volte se quel che scrivevo fosse divertente per altri oltre che per me e se le vicende narrate contenessero troppi rimandi a personaggi ed eventi storici ai più sconosciuti così, per avere un riscontro, ho fatto leggere qualche racconto e quando mi hanno detto che li trovavano divertenti e scorrevoli, rassicurata, ho continuato a scrivere. Le storie che ho messo sulla carta nascono dalla realtà, la più strabiliante fonte di ispirazione, situazioni reali vissute dalle protagoniste direttamente o vissute da altri e a loro attribuite. Uno spaccato di vita vissuta in cui contrastare stereotipi e luoghi comuni su: naturale inclinazione femminile per le doti culinarie, invecchiamento e abbandono di interessi e passioni considerate terreno esclusivo della giovinezza, rapporti tra generazioni e competizione tra donne. Quel che tiene unite il gruppo di amiche che animano le storie di Sirene si nasce è il rispetto, la stima, la consapevolezza della loro diversità vissuta come complementarietà e l’educazione che tutte loro hanno ricevuto. La buona educazione, la “buona creanza”, è la pietra angolare nei rapporti sociali delle donne protagoniste dei racconti che ad essa non rinunciano anche quando ciò comporti una accusa di snobismo.
Fare gruppo, “fare rete”, sembra essere un fattore costante della sua opera. Le donne, il suo gruppo di amiche, le protagoniste delle sue storie sembrano davvero molto affiatate e sincere l’una nei confronti dell’altra, ma un po’ in conflitto con la varia umanità che popola il loro quotidiano. Ritiene che questa sia una condizione inevitabile per la donna che oggi cerca di esprimere la propria personalità in ogni settore della vita?
L’intento del libro è dimostrare che non sempre le donne si fanno la guerra, ci sono moltissimi casi, più di quanti si pensi, di amiche che vivono insieme in armonia affrontando le piccole grandi scelte di tutti i giorni. Le figure femminili del libro fanno emergere questo loro essere affiatate confrontandosi con persone e situazioni che in tale amicizia, tale legame autentico e privo di competizione, non credono. Il gruppo di amiche viene osservato alla ricerca di una crepa, un mal celato dissapore, per poter finalmente esclamare: “Ecco lo dicevo io che era tutta una finta!”. Questa loro unità appare sospetta, la complicità disturba, la sintonia infastidisce perché, nella maggior parte dei casi, i rapporti personali – tanto maschili quanto femminili -sono indirizzati alla ricerca di un personale tornaconto che mal si concilia con le dinamiche di gruppo improntate alla condivisione. Il punto è questo: le protagoniste dei racconti scelgono la condivisione, la società contemporanea predilige la competizione, quella tra donne è molto frequente.
La scelta della condivisione è il presupposto fondamentale per la costruzione delle reti e perciò possiamo dire che è una costante dei racconti così come lo è nella mia vita, costruire network è un obiettivo che perseguo nel lavoro e nella relazioni sociali da sempre perché credo che il dialogo tra le reti sia il modello di sviluppo economico di un futuro che è già qui. Solo insieme si possono disegnare strategie in grado di raggiungere traguardi ambiziosi per tutti coloro che ne fanno parte. È facile? Per niente! La nostra cultura è orientata all’esasperazione dell’individualismo. Fin da piccoli ci viene insegnato che bisogna pensare a sé stessi, che chi fa da sé fa per tre, che bisogna essere più furbi degli altri e pronti nel carpire qualsiasi vantaggio nelle relazioni. Personalmente ho sempre pensato che la furbizia sia un sotto prodotto dell’intelligenza e che dal confronto con gli altri derivi un arricchimento reciproco e non una minaccia. Ma per confrontarsi e costruire relazioni ci vuole impegno e per le donne non sempre è facile perché il lavoro e carichi di cura familiare assorbono la quasi totalità del loro tempo e coltivare rapporti e relazioni che si traducono in opportunità di lavoro viene visto come una possibilità da incastrare nel poco tempo libero disponibile, gli uomini invece alla costruzione di relazioni utili al lavoro sono bravissimi, lo hanno sempre fatto: cene di lavoro, partite a calcetto etc. Per far parte di una rete e godere dei vantaggi che questo comporta prendere un aperitivo ogni tanto non basta, ci vuole molto di più. Dobbiamo imparare dagli uomini.
Mi ha colpito una cosa nei suoi racconti: l’affiorare qua e là di personaggi famosi della storia, della cultura, non solo italiana. Semplici epifanie, figure letterarie… Questo mi fa sorgere immediata una domanda: ha dei particolari modelli culturali, letterari?
Sono una lettrice onnivora. Amo esplorare culture diverse, mi piacciono le biografie di donne e uomini che hanno vissuto intensamente partecipando alla Storia e ho un approccio multidisciplinare: storia, politica, economia, scienza, letteratura. Nei racconti mi sono divertita a dialogare con personaggi che ammiro e le cui vite interessanti sono legate a situazioni narrate o a luoghi scelti per l’ambientazione. Goethe e Mary Shelley hanno realmente passeggiato nel parco del Grand Hotel Cocumella di Sorrento meta del grand tour così come Gioacchino Murat diresse l’assedio di Capri dalla non lontana Massa Lubrense, gli altri rappresentano figure legate a ricordi affiorati alla memoria durante la scrittura. Il paradosso mi affascina, poter andare oltre le barriere del tempo, dello spazio e delle leggi della natura è uno dei doni che la lettura rinnova ogni giorno.
Richiamate anche dalle pagine illustrate del libro (a cura di Maria Siricio), mi sembra di capire che le “sirene” sono questi essere eleganti e gentili che, solidali tra loro, si districano dai grandi e piccoli problemi quotidiani, e dall’afflizione dei tanti cliché, sbaglio? Avrebbe qualche alto modo per definirle?
Ammiro molto il lavoro e le opere di Maria Siricio, trovo che sia un’artista a tutto tondo capace di esprimersi padroneggiando molteplici tecniche. Quando le chiesi di illustrare i racconti non espressi nessuna preferenza per i soggetti o le tecniche, mi limitai a inviarle il file con i testi certa che la sua bravura mi avrebbe, ancora una volta, stupita. Tempo dopo, seduta nel suo atelier, mostrandomi le tavole illustrate mi spiegò che vedeva tutte noi descritte nel libro come sirene. Probabilmente perché le sirene sono il primo soggetto di un progetto artistico pluriennale sulle figure mitiche femminili napoletane a cui stiamo lavorando insieme e la sua ricerca è incentrata sull’indagare il tratto umano, le passioni che animano il lato femminile di queste figure. Partenope, che Maria Siricio ha dipinto su tela, ad acquerello, scolpito con tecniche e materiali differenti, creato a grandezza naturale in lampade e oggetti di design esprime gioia, rabbia, dolore, stupore, ira, passione, amore. Lei ci ha viste così e sono felice del fatto che non solo le protagoniste dei racconti da lei ritratte ma anche alcune lettrici le abbiano commissionato alcune tavole inserite nel libro. Quello che ho trovato divertente è stata la scelta di rappresentare gli uomini nel modo in cui l’ha fatto, i tritoni sarebbero stati banali e Maria Siricio banale non lo è di sicuro.
Come definisco le sirene? Il titolo del libro non è casuale. Sirene si nasce perché non lo si può diventare, esserlo vuol dire scegliere la lealtà, la condivisione, la responsabilità, la coerenza, il prezzo delle sconfitte in nome di un principio, vuol dire scegliere di essere in luogo dell’apparire, avere il coraggio di vivere contro corrente e camminare in salita, vuol dire essere autenticamente sé stesse con la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità, vuol dire scegliere di adattare il proprio passo a quello degli altri per camminare insieme e arrivare più lontano, insieme e non da soli. Le sirene sono creature indomite capaci di grandi passioni, non a caso il mito fondativo di una città fuori da ogni schema come Napoli è legato a una di loro…
Per il suo impegno professionale Francesca Vitelli è tra le 150 donne innovatrici da seguire in Italia secondo StartUp Italia.
La notizia è riportata da questa pagina su enterprisingirls.com.