La realtà distopica che ci troviamo ad affrontare ci pone di fronte a due imperativi personali e sociali: controllarsi e controllare.
In questo contesto sono due i grandi sociologici che vorrei scomodare per chiarire le dimensioni fondamentali dell’uomo nel suo rapporto con lo stato e la società: Michel Foucault, per la sua analisi dell’eterocontrollo, e Norbert Elias, per quella dedicata all’autocontrollo.
Che attinenza ha questo con quello che sta accadendo?
A scanso di equivoci ci tengo a precisare cosa penso della situazione attuale e delle misure che sono state decise: non si poteva fare altrimenti, l’intento è quello di proteggerci non di imprigionarci, di tenere sotto controllo i numeri impazziti dei contagiati per dare una minima tregua agli ospedali (spesso carenti di attrezzature e personale) e per curarci adeguatamente se necessario.
Nel corso di questa lunga quarantena la nostra vita è stata regolata da una serie di decreti che scandiscono la nostra “nuova normalità”, limitando progressivamente alcune libertà (oltre alla chiusura delle attività, le circostanziate puntualizzazioni su quanti metri possiamo percorrere, in che modo e per quali ragioni). Ne sono seguiti una serie imbarazzante di modelli di autocertificazione che hanno dato origine alle più divertenti battute e meme sui vari social. Si è necessariamente anche delegato allo Stato il diritto di dirci se e quanto si può correre o camminare.
Ma era davvero necessario? Evidentemente sì.
Ciò che personalmente mi provoca imbarazzo è proprio il fatto che lo Stato dovesse occuparsi esplicitamente del “diritto di correre”. Non rientra forse nel senso comune non farlo? Ovvio che abitare in pochi metri quadri con altri coinquilini, come accade nelle nostre metropoli urbanizzate non a caso più duramente colpite, alimenta considerevolmente il bisogno di fuga. Ma non è ancora questo il punto: perché bisogna correre? Per sfogare le proprie energie certo, ma quante ne restano dopo aver visto le bare sfilare sui carri militari? Evidentemente molte…
Modelli e soluzioni
Qui arriviamo al punto: noi tutti non siamo capaci di autocontrollo? È davvero necessario questo eterocontrollo così quotidianamente disciplinato? L’eterocontrollo rimanda al controllo operato da un potere “altro”, che può essere della società o, ancor di più, dello Stato. In questo periodo lo Stato ha messo in atto un tipo di controllo “coercitivo” destinato prima solo ai detenuti (che giustamente hanno tenuto a precisare che l’essere chiusi nelle nostre case non può comunque dare la minima idea di cosa voglia dire la vita in carcere). A ciò si aggiungerà presto una app che servirà a monitorare e a registrare i nostri spostamenti con l’idea di poter ricostruire, eventualmente, la mappa dei contagi. Ancora una volta mi sembra necessaria una precisazione: quello che ci viene proposto serve a proteggerci non a punirci.
Michel Foucault aveva elaborato la sua idea della costruzione dello stato moderno, disciplinato e organizzato, tenendo conto di una progressiva estensione dell’etero-controllo, in cui ciascuno, costantemente monitorato dal “Panopticon” (il carcere ideale ideato da Jeremy Bentham nel 1791 che si ispira al mito di Argo Panoptes, gigante dai mille occhi ) sotto la spinta suggestiva del controllo perpetuo, finisce per modulare i propri gesti, movenze, abitudini.
Questo tipo di controllo inquieta in modo esasperante le democrazie occidentali laddove i “cittadini” percepiscono i loro doveri ma anche chiaramente i propri diritti e sono in particolar modo abituati, per fortuna, alle libertà. In altri stati, meno abituati a certi climi democratici, è infatti paradossalmente più facile far accettare le regole della quarantena (aggiungiamo: messa in atto anche con la forza).
Cambiamento (necessario) e emozioni
In questi giorni sentiamo spesso ripetere questa frase: “Nessuno si salva da solo” (di recente diventato per alcuni governatori “si salvi chi può”). Che nessuno possa salvarsi da solo è evidente, ma non solo perché, come ottimisticamente ci piacerebbe credere, la solidarietà e il rispetto per tutti avranno la meglio e ci uniranno in un abbraccio universale, ma anche perché questo virus subdolo si lega strettamente alle abitudini sociali più banali, per cui nessuno può essere una monade, nessuno può essere “senza controllo”.
Secondo Foucault (che analizzò i meccanismi del potere in più lavori ma in particolare in Sorvegliare e punire del 1975) l’auto-controllo si sviluppa quasi naturalmente nell’uomo nel momento in cui viene sottoposto in modo capillare all’eterocontrollo: un forte potere disciplinante simile allo sguardo autoritario genitoriale che non ammette defezioni.
Lo sviluppo dell’autocontrollo che ne deriva ci rende possibile vivere in società, esercitare la nostra funzione sociale senza intaccare le libertà altrui.
È anche vero, però, che l’autocontrollo ha a che fare, come ci insegna Norbert Elias, con il contenimento dei sentimenti e delle emozioni che prima manifestavamo in modo diverso, magari più istintuale e perciò più libero.
Elias (che per il suo saggio Il processo di civilizzazione del 1939, in verità, è stato da più parti contestato per la scientificità della sua ricerca) riferisce di alcuni cambiamenti rinvenibili nel passaggio, che si realizzano nel passaggio dalla civiltà cavalleresca del ‘400 -‘500 allo stato assolutista del Seicento. Questi cambiamenti sarebbero determinati da una serie di trasformazioni sociali che derivano dall’elaborazione delle regole della “buona etichetta” a tavola, progressivamente regolamentate nei vari manuali della “distinzione” (nel senso di Bourdieu) ad uso delle classi sociali elevate (in questi manuali si stigmatizza progressivamente un certo uso delle varie stoviglie e dei loro annessi; ne viene un’attenzione maggiore all’igiene).
Leggendo di queste cose a molti verrà da sorridere, eppure di questa storia cosiddetta culturale, è anche fatta la Storia. Questi decaloghi hanno portato nel corso dei secoli ad una pronunciata differenza di classe anche esteriore, che differenziava nobili e non, “civili” e non. La necessità di essere dei fedeli esecutori delle “buone maniere” ha avuto come controparte, secondo Elias, una progressiva soppressione delle emozioni che hanno reso l’uomo più civile sì ma anche più “represso”.
Di nuovo: che attinenza ha tutto questo con quello che stiamo vivendo?
Ne ha: non solo perché in questo frangente ciascuno di noi – oltre che lo Stato – opera su di sé un serrato auto-controllo, ma esercita a sua volta una sorta di etero-controllo nei confronti degli altri. Basti pensare alle numerose foto e tweet (per fortuna anche ironici) che immortalano folle immaginarie a mo’ di assembramento in luoghi pubblici e che ironizzano sui deliri di massa e lo spirito poliziesco. La verità è che sarebbe bello fare a meno degli “sceriffi”, ma anche dei “fuorilegge”. Un’utopia? Veltroniana quasi. Forse…
Controllare noi stessi ci comporta una tal fatica (anche in termini emotivi, per parafrasare Elias) che vedere qualcun altro incapace di autocontrollo ci autorizza ad esercitare il nostro occhio orwelliano, giudice severo di ogni umana debolezza.