“Ready Player One” di Steven Spielberg

C’è un certo timore ad affrontare i propri miti perché, dopotutto, sono quel trait d’union che tiene strettamente saldo il presente con quel passato, più o meno reale o fantasticato, su cui poggiano le fondamenta del nostro substrato emozionale. Ogni volta l’attesa è accompagnata da un’indissolubile paura di trovarsi spiazzati davanti a promesse eccessivamente caricate da media ipertrofici e sempre meno credibili.

Steven Spielberg, al netto delle retoriche frasi d’occasione (creatore di sogni, cantore dell’infanzia perduta e bla, bla, bla, …), rappresenta il modello americano, onnivoro, che s’impone con violenza sul marchio culturale distintivo, tipico, modificandone strategie e campo visivo.
Ma Spielberg è certamente la parte migliore di questa cultura dominante, quella sicuramente necessaria: è l’erede della grandiosa formula hollywoodiana, quella più compiuta e nobile, capace di abbinare piacere per una narrazione vivace e coinvolgente, una sostanziale predisposizione ai toni affettivi, spruzzate di genuina ironia e un occhio cinematografico con pochi pari.


Un innovatore capace di capire il valore della produzione del passato, coglierne gli elementi, assimilarli e riorganizzarli in prodotti di fenomenale intrattenimento e indiscutibile sostanza.
Non esente da inciampi (pochi, tra tutti “The terminal” che lascia ancora attoniti per la pochezza) che ne certificano la sostanza umana a dispetto di chi sostiene che non sia autore, ma solamente un business center, con Ready Player One riesce ancora una volta a lasciare stupefatti per come a settant’anni suonati sia ancora in grado di essere al passo con i tempi, coglierne i gusti, cavalcarne le specificità, immergersi in una materia fantascientifica che è anche un’enciclopedica rievocazione del passato, più o meno prossimo.


Ready Player One sembra un carrozzone ipertrofico sotto molti aspetti: durata, ammasso di citazionismo, realtà virtuale che schiaccia – per presenza e preponderanza – la verità del mondo reale; tutte cose che inizialmente stordiscono e lasciano perplessi. Eppure, dopo un avvio francamente difficile da digerire per come appare (siamo quasi subito catapultati, senza esserne sufficientemente preparati, nell’estetica da videogame con una lunga, eccitante, car race), il giocattolone chiama in causa lo spettatore chiedendogli di allacciare le cinture e farsi trasportare nell’oliatissimo meccanismo, stabilendo un patto di sospensione credibile e indissolubile. Rendendo, insomma, tangibile la magia del cinema.


Ambientato in un futuro non così lontano, non così inimmaginabile, non così originale, Ready Player One raggruppa e riutilizza i punti di forza e le fobie del nostro presente: una tecnologia in grado di indirizzare le nostre vite, assorbire la nostra linfa in nome di un potere centralizzato e totalitario che si imbelletta di parole come divertimento e democrazia per schiavizzare le masse, accatastarle in discariche senza speranze (se non finte, utopiche, fondate sulla brama di potere), paradossalmente senza contatto umano.
Per questo Ready Player One è sicuramente un film politico (non meno del recentissimo The Post), sotto le mentite spoglie del puro divertissement. Un film che ci parla di un domani che già s’intravede, illustrato con gli archetipi dell’immaginario cullato negli ultimi quarant’anni.


Un film che vuole meravigliare, sconquassare, raccontare senza rinunciare alla sostanza: basato su un ritmo adrenalinico, il fantastico lavoro di montaggio del fidato Michael Kahn e di Sarah Broshar sa perfettamente dosare le parentesi intime rallentando a dovere per focalizzarne l’anima quando è necessario (per esempio gli incontri di sguardi tra protagonisti, nel mondo reale come in quello fantastico).
Curato in ogni dettaglio compositivo, capace di scarti emotivi incessanti, Ready Player One è un film verticale, un continuo passaggio di livelli: da quello generale, dell’insieme, a quello del particolare ricordando come la Storia e i poteri ci considerino massa, ma sia fatta da individui con infinite, dimenticate, piccole storie.
Alcune sequenze sono veri e propri gioielli che oscillano tra il geniale omaggio e l’intelligente, ironica, rivisitazione: su tutti vale ricordare l’immensa parentesi di Shining, di una bellezza sopraffina, anche solo considerandone la resa visiva.


Lo Spielberg touch è diffuso in ogni risvolto ed è un marchio di fabbrica ora disciolto, amalgamato tra le pagine (l’amicizia salvifica, l’infanzia interrotta, …), ora rivelato nel dettaglio puramente tecnico: come nello specchio, sempre ricorrente, il riflesso che riporta alla realtà, lo stimolo che accende la scintilla.

Ready Player One è, in definitiva, uno spettacolo di luci contrapposte (il vero opaco e opprimente, ma ancora sottilmente pulsante; l’irreale vivido e ammaliante), ordine dell’apparente e disordine del concreto, ricerca della vita nell’irreale e abbandono della vita nel reale.

Siamo di fronte ad un film capace di parlare a più persone, difficilmente archiviabile con superficialità ed esauribile con una visione o la lettura di qualche articolo.

Andate al cinema per godervi questo bellissimo viaggio, ricco di colpi di scena, nel vostro, nostro “io”.

READY PLAYER ONE
(Usa, 2018, 140 min.)
Regia: Steven Spielberg
Soggetto dal romanzo di Ernest Cline
Sceneggiatura : Zak Penn, Ernest Cline
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Sarah Broshar, Michael Kahn
Effetti speciali: Neil Corbould
Musiche: Alan Silvestri
Scenografia: Adam Stockhausen
Costumi: Kasia Walicka-Maimone
Trucco: Niamh O’Loan
Interpreti e personaggi
Tye Sheridan: Wade Owen Watts / Parzival
Olivia Cooke: Samantha Evelyn Cook / Art3mis
Ben Mendelsohn: Nolan Sorrento
Simon Pegg: Ogden Morrow
T. J. Miller: i-R0k
Hannah John-Kamen: F’Nale Zandor
Mark Rylance: James Donovan Halliday
Letitia Wright: Reb
Julia Nickson-Soul: JN / Commuter
Ralph Ineson: Rick
Mckenna Grace:
Jacob Bertrand: scolaro