«Mi porto dentro un viaggiatore oscuro / partito nella lucida tempesta. Una staffetta / andata obliqua in centro strade…».
«Si può viaggiare nella realtà come ombra, inconsistenti e invisibili, come nel celebre racconto di Chamisso, affrancandosi da ogni corporeità; oppure quell’ombra può essere il riflesso visibile del cammino compiuto, delle tappe percorse: l’ombra come scansione del tempo. Ancora, può essere un semplice modo di nascondersi, come in effetti il poeta Marotta fece. In qualsiasi modo la intendiamo, la metafora ha comunque una sua derivazione, per quel lettore colto e onnivoro che era stato lo studente a Urbino».
Così scrive Roberto Deidier nell’introduzione all’elegante volume Ombra da viaggio (edito da Giometti & Antonello e curato da R. Deidier, 2024), che raccoglie il corpus poetico di Maurizio Marotta, poeta campano scomparso nel 2020.
Il libro è il risultato della sedimentazione delle memorie del poeta, del suo attraversare il mondo attraverso la poesia.
«Dei miei viaggi è rimasto il loro senso ultimo, la perentorietà dei dati reperiti e rimasti attraverso il filtraggio degli anni e lo spegnersi della febbre del momento. […] È quindi fatale che viaggiando scriva delle poesie. Cose passate sulla mia pelle, e dentro il mio sangue».
Il libro è un ottimo spunto per un’introspezione profonda, un invito a un viaggio interiore che riflette le inquietudini dell’uomo contemporaneo.
Marotta, con la sua sensibilità acuta, cattura l’essenza del senso del viaggio. Il viaggio non come semplice attraversamento a occhi bendati o aperti di luoghi, ma in prima istanza viaggio attraverso il nostro mondo interiore e le nostre memorie. La scrittura si rivela un potente alleato per lo scrittore per esplorare i “luoghi” visitati e tradotti attraverso la poesia e attraverso le proprie emozioni. Il nostro tempo ci mostra un’immagine diversa del viaggio.
Il tema del viaggio
Il viaggio come vetrina, come ostentazione di un potere di acquisto. Viviamo un’epoca in cui il viaggio, da esperienza di scoperta e crescita, il vostro, si è trasformato in un mero consumo di luoghi e di esperienze.
Un tempo, il viaggio era sinonimo di avventura, di scoperta di nuovi orizzonti e culture. Oggi, invece, è diventato un prodotto standardizzato, un’esperienza da condividere sui social media, un modo per dimostrare il proprio status sociale. Il turismo di massa ha omologato destinazioni un tempo incontaminate, trasformandole in parchi a tema per visitatori sempre più esigenti e sempre meno consapevoli.
Marotta, con la sua poesia, ci ricorda che il vero viaggio non è solo fisico, ma anche interiore. È un percorso alla scoperta di se stessi, delle proprie radici, delle proprie paure e delle proprie aspirazioni. Eppure, nel nostro mondo frenetico, sempre connesso e sempre di corsa, sembra che abbiamo dimenticato il valore di questo viaggio interiore.
Le ombre che popolano la poesia di Marotta sono le proiezioni delle nostre ansie, delle nostre solitudini, delle nostre paure di un futuro incerto. Sono le ombre che nascono dalla disconnessione con la natura, con gli altri e con noi stessi. Il viaggio, paradossalmente, può diventare sia un rifugio che una prigione. Un rifugio dalla routine, dalla noia, dai problemi quotidiani. Ma può anche diventare una prigione dorata, un modo per fuggire da se stessi, per cercare all’esterno ciò che non troviamo dentro.
I luoghi esotici, le culture lontane, diventano allora delle maschere dietro cui nascondersi, dei palcoscenici su cui recitare una parte. Ma dietro questa facciata perfetta, si nasconde spesso un profondo senso di vuoto e di insoddisfazione.
I viaggi tra le memorie che ci offre Marotta sono viaggi in cui la natura e il mondo si presentano frammentati spesso visioni non più componibili emozioni e immagini sedimentate e sovrapposte.
“Avvento di natura / se il cielo ripulisce la veduta / e si capisce cosa c’era i giorni scorsi / quali uccelli, / sui davanzali alzare i gomiti, farsi più alti / e guardare che lontano c’è alberi / magari boschi e se ci provi anche un volo / in cielo grafato da ali minute”
– scrive Marotta in una poesia de I cappotti morti e, qualche anno dopo, in due liriche tratte da Il cielo dai balconi,
“Di nuovo le nuvole / nuvole ancora e di nuovo / senza avere mai fine. Ma poi / a matrice di punti i disegni, / e rapida in fondo, nei rivoli, / ogni vaga figura da leggere… / Per troppa abbondanza / su asfalti, su vita, sui tergicristalli / in eccesso di dettagli / l’acqua scrive e cancella”; “E quante cose morte veramente / funghi, scorze, ali di uccelli, / che rapide al terreno si affastellano / di sé coprendo l’erba.”
Una natura inquieta, un mondo che riesce proprio nel suo essere così mutevole inafferrabile nella sua totalità a destare sempre meraviglia nello scrittore e a costituire una valida base per i suoi scritti.
«la sostanza della vita» rimane in un altrove inattingibile, è «cancellata» o nascosta «nelle stelle che non vedi».
La poesia di Marotta, con la sua capacità di scavare nelle profondità dell’anima, ci offre un antidoto a questa superficialità. Le sue parole ci invitano a rallentare, a fermarci un attimo a riflettere, a riscoprire il valore delle piccole cose, delle relazioni autentiche, della bellezza della natura. In un mondo sempre più omologato e standardizzato, la poesia di Marotta ci ricorda l’importanza di preservare la nostra individualità, di coltivare la nostra curiosità, di mantenere viva la capacità di meravigliarsi.
Cos’è arrivare ad un paese
alla sua ombra di provincia
dove niente già sia stato
se non lasciarsi andare
confondersi e guardare ancora.
Alla marea del polso intento
il braccio alzato mira alla poiana
fiondata sulla cima, il piede
s’affatica alla salita.
Il cuore ha sempre un verso
come il grano che ricresce