Loro di Paolo Sorrentino: cinema politico o racconto esistenziale?

Ora che entrambe le parti sono giunte al cinema, è possibile analizzare Loro di Paolo Sorrentino con maggiore calma e ponderazione rispetto a tutte le considerazioni che hanno preceduto l’uscita delle due parti in sala, a due settimane di distanza, e soprattutto prendere le distanze dalle polemiche preventive alimentate ad arte per calcolato interesse. Con Loro Paolo Sorrentino ha realizzato quella che, nel bene come nel male, appare una summa del suo cinema, un punto a capo forse definitivo per ciò che coerentemente ha riguardato la poetica e lo stile del regista napoletano premio Oscar per La grande bellezza: questo film diviso in due parti per logiche di durata e commerciali insieme racconta come è noto un momento preciso della vita personale e politica di Silvio Berlusconi, quello delle “cene eleganti” altrimenti note anche come “bunga bunga“, che hanno segnato la (momentanea?) fine della sua carriera politica.

Le polemiche come era facile immaginare non sono mancate, soprattutto dagli ambienti della destra italiana che hanno ritenuto che Sorrentino si fosse fatto portabandiera dell’ennesimo attacco a senso unico del leader di Forza Italia: a visione ultimata, possiamo tranquillamente confermare che il regista non è affatto un regista politico-ideologico, e seppur il film non sia assolutamente reticente sui fatti e i (veri o presunti) misfatti di quanto accadeva nelle ville di Berlusconi, con Loro Paolo Sorrentino ha deciso di proseguire il suo racconto esistenziale di uomini colti sul crinale della vita, che si trovano irrimediabilmente a fare un bilancio di ciò che hanno ottenuto, ma anche degli errori e dei rimpianti. Berlusconi è indagato nella sua complessità di uomo, imprenditore e leader politico, non diversamente da Tony Pisapia, Titta di Girolamo, Geremia De’Geremei, Jep Gambardella e tutti gli altri protagonisti del cinema sorrentiniani, figure reali e fantasmatiche insieme, che sembrano uscire dalle pagine di Ferito a Morte di Raffaele La Capria, a nostro avviso il vero grande modello e fonte di  ispirazione del regista napoletano.

Dal punto di vista strutturale, Loro di Paolo Sorrentino è un film sorprendente: inizia come una lunga sbornia audiovisiva ricolma di droghe e sesso, come un Wolf of Wall Street tricolore, opportunista e cialtrone come la corte dei miracoli che sogna di arrivare a Berlusconi con ogni mezzo. Ma questi “Loro” non sono figurine monodimensionali, piuttosto persone comuni che sognano di evadere dalla provincia, di trovare una svolta alle loro esistenze più o meno misere, individui non dissimili a quanti ci circondano nella quotidianità: in “Loro” c’è qualcosa anche di “Noi”, volente o nolente, e dobbiamo farci i conti. E se Loro fanno di tutto per arrivare a Lui, quando entra in scena Berlusconi, un magnifico Toni Servillo che ha lavorato sulla maschera quanto sull’anima del personaggio esattamente come fece ne Il Divo con Andreotti, la struttura si rovescia, a chiasmo: tanto c’è un vitalismo nella direzione iniziale quanto un sentore malinconico, quasi esiziale, nel modo in cui Lui utilizza Loro per regalarsi l’ultimo giro di giostra prima di imboccare il viale del tramonto, con un matrimonio in pezzi e un effimero ritorno alla guida del governo.

Non è un film perfetto Loro di Paolo Sorrentino, accanto ad intuizioni geniali e il consueto tourbillon stilistico, fatto di arditi accostamenti tra movimenti di macchina e scelte musicali, fanno capolino cadute di gusto, metafore sin troppo chiare (la sequenza della “zoccola” e del camion dell’immondizia è davvero uno dei punti più bassi dell’intero cinema sorrentiniano), un eccesso di verbosità e didascalismo soprattutto nella seconda parte, quando il messaggio politico sembra effettivamente prendere il sopravvento a tratti, con la consueta ironia che salva sempre in calcio d’angolo il talentuoso regista. E allora che cos’è Loro, cinema politico o esistenziale? Noi non abbiamo dubbi sulla seconda opzione, ma ciò non vuol dire che Sorrentino non rinunci a fare scelte di campo morale (e non moralistico): l’opera si conclude con l’altra Italia, quella che i sogni li ha riposti nel cassetto da tempo e alle scorciatoie predilige l’erta, faticosa via dell’onesta quotidianità, ma senza urli o proclami, ma semplicemente con la forza della realtà che prende il sopravvento sull’artificio,  una conclusione morale come l’avrebbe intesa anche André Bazin per la scelta linguistica del piano sequenza. E allora vale la pena di approcciarsi a Loro di Paolo Sorrentino con la mente sgombra da pregiudizi di ogni tipo, per comprendere qualcosa di più non tanto di Berlusconi quanto di noi stessi e di un pezzo di storia del nostro Paese: che sia stati protagonisti o semplici spettatori, è una storia che ci riguarda tutti.