La violenza della storia in “Resto qui” di Marco Balzano

Resto qui di Marco Balzano, Einaudi, finalista al Premio Strega 2018, vincitore del Premio Bagutta 2019, è un libro che parla della violenza della storia, di come la storia si sia accanita su di una piccola comunità del Sud Tirolo, quella di Curon, una violenza che ha scatenato sulla vita dei suoi abitanti i quattro elementi della tradizione ellenica che nelle cosmogonie portano all’origine del cosmo, a Curon invece hanno portato alla fine di un microcosmo. Nella storia di questo paesello sperduto tra le alpi ai confini con la Svizzera, è giunta prima l’aria, le chiacchiere di una certa propaganda, quella fascista, che ha vietato il tedesco, ha tradotto in italiano i nomi sulle lapidi, ha perseguitato gli insegnanti che hanno tentato di trasmettere clandestinamente la lingua degli avi, ha mandato in Albania i suoi uomini, ha tentato nel ’39 una deportazione in Germania, un’aria malsana che ha provocato tragiche saghe che termineranno in ulteriori crimini, come quella di Sepp, che da antifascista si trasforma in un certosino smistatore di prigionieri nel campo di concentramento di Bolzano, città che circa dieci anni prima era stata messa a ferro e fuoco dai fascisti italiani.

Senza soluzione di continuità, al fascismo è subentrato il nazismo, quindi il fuoco, la guerra, quella sporca che mette uomini e donne in fila al muro per essere fucilati, quella che ha disperso tanti membri della comunità sui fronti di mezza Europa. I sudtirolesi hanno tentato di reagire anche al nazismo quando esso ha imposto loro l’arruolamento, ma non è stata una resistenza organizzata e armata come nel resto del nord Italia, bensì una difesa più simile a quella avvenuta nel sud Italia, una difesa del proprio maso, della propria mucca, metro dopo metro, fuggivano in montagna come Trina e il marito, i due protagonisti del romanzo. Il terzo elemento è stata l’acqua, la progettazione di una diga da parte della Montecatini, oggi Edison, che sommergerà il paesello di Curon, opera monumentale già in programma sotto il fascismo, rimandata a causa della guerra, compiuta poi dall’Italia liberata. Lungo tutto il romanzo, Erich, il marito di Trina, è l’unico a comprendere che la diga sarebbe andata in porto, che, perduti i luoghi, le loro memorie non avrebbero avuto più senso, mentre i suoi concittadini al contrario si affidano a Dio, non l’hanno fatta fino ad oggi, non la faranno mai, ma secondo un noto detto…. «se non vi occupate della politica, la politica si occuperà di voi».

Un intreccio di storie di guerra

Resto qui è comunque molto di più. È la storia di una madre, Trina, che non abbandona la sua terra e parla alla figlia che al contrario scappa con gli zii, di nascosto, in Germania, fermamente convinta di trovare la libertà nella Germania nazista; è la storia di un padre che in guerra, in Albania, c’è stato, ha dovuto uccidere, un uomo che adesso rifiuta la guerra e si ritrova in casa un figlio apertamente nazista, che si arruola con i nazisti e che resterà nazista anche a guerra finita;  è la storia di una insegnante che tenta di proteggere la lingua della sua comunità, che è la sua anima, il tedesco, colpita dall’ignoranza fascista che tutto appiattisce, dialetti, lingue, individualità, tradizioni; è la storia di un “ignorante” che per salvare la vallata dove è nato, tenta di imparare un’altra lingua, l’italiano, per comunicare le proprie ragioni ai padroni e prende coscienza del più drammatico male che possa colpire un individuo “– Non so più imparare – diceva tirandosi pugni sulle gambe, adagiando sconfortato la testa sul tavolo”; è anche la storia di una donna che porta con sé un’immensa colpa perché la sua resistenza ha provocato l’arresto e il confino della sua migliore amica. La comunità alla fine, dopo la guerra, si organizzerà in una protesta per salvare la vallata ma prenderà coscienza che nulla si può fare contro la dittatura di un capitale che usa come sistemazione per i propri operai, poveracci provenienti dal sud Itala, baracche simili a quelle utilizzate nei campi di concentramento. 

Giunge quindi la terra, e che possa essere lieve a tutti quegli uomini e a quelle donne della vallata di Curon che hanno subito tanta barbarie, pagine toccanti, quando Trina uccide, quando Erich si dispera perché non è più in grado di imparare, quando dall’acqua si vedrà solo spuntare il campanile di Curon. In questi tempi bui, in cui sono tornate certe menzogne che non sono “propaganda” giacché non devono essere propagate (ma combattute!), ebbene letture del genere sono importanti, anche perché l’autore, con la piccola saga di Sepp, ci fa riflettere su di un punto: il fascismo non è stata una dittatura all’acqua di rose, come dicono alcuni fautori del caos, che in greco vuol dire vuoto, bensì un crimine doppiamente responsabile dal momento che, primo, fu crimine, cioè fascismo, secondo…generò altro crimine, il nazismo. Non abbiamo ancora fatto i conti con il nostro passato, dalla Cirenaica, all’Etiopia, ai paeselli degli Appennini sterminati dai nazifascisti e ancora oggi disabitati, fino al Sud Tirolo. Questo lavoro di Marco Balzano è un ottimo inizio per dare una spolverata ai nostri armadi, prendere coscienza di certi scheletri. Un libro fondamentale.         

Marco Balzano vincitore del Premio Bagutta