La scuola cattolica di Edoardo Albinati

La scuola cattolica di Edoardo Albinati, edito dalla Rizzoli, è un libro che nasce nel tentativo di spiegare un delitto.

La natura del delitto, però, è talmente assurda che l’opera di Albinati diviene una vera e propria giungla di supposizioni, interrogativi, spiegazioni – un continuo componi scomponi e ricomponi di svariate interpretazioni, una perpetua acrobazia del pensiero tra sociologia, psicologia, filosofia, politica e non solo.

Parliamo dei mostri del Circeo: nel lontano 1975, tre ragazzi della Roma bene sequestrano due coetanee e le seviziano per circa trentacinque ore. Una morirà, l’altra si salverà. Dopo l’orrore, tornano a cena dai loro genitori, mangiano un gelato. Erano gli anni settanta, l’appartenenza alla classe borghese dei tre assassini fa sì che il delitto venga politicizzato ottenendo una eco che è durata fino ai giorni nostri. Degli assassini si sapranno anche la marca delle scarpe, delle vittime quasi niente. L’ossessivo bisogno di dare una risposta, spinge l’autore al di là della storia stessa, dei suoi confini. La scuola cattolica, infatti, si dipana attraverso altre vite, si ramifica, si moltiplica; l’autore intraprende più strade possibili, indaga sulla violenza politica, sul cinema del tempo, sulle mode, addirittura sulla architettura del quartiere che ha visto crescere gli assassini e le vittime, ma soprattutto sull’educazione. L’educazione, infatti, è il punto che l’autore stesso ha in comune con gli assassini. I mostri del Circeo e Albinati hanno frequentato la stessa scuola, l’Istituto San Leon Magno di Roma, una scuola di preti, al tempo solo per maschi. Inoltre, durante la stesura del libro, Albinati scopre che altri compagni hanno avuto a che fare con il carcere o, comunque, avevano grossi problemi psicologici. Uno addirittura si è suicidato, un altro, terrorista rosso, si era fatto saltare in aria. Quella scuola, però, ha formato anche ragazzi che si sono rivelati ottime persone. Dalla stessa scuola, dalla stessa educazione, quindi, sono uscite eccellenza e follia.

copertina romanzo di albinati
La scuola cattolica

A definirlo un romanzo potente, un romanzo unico, un romanzo-mondo e via dicendo, non gli si rende giustizia. La scuola cattolica è qualcosa di più. La chiave del libro, secondo me, è a pagina 403: “A grattare sotto la crosta degli insegnamenti che ricevevamo usciva tutta un’altra versione, un’altra religione, una morale rovesciata”. Questo fa Albinati (per 1300 pagine) gratta incessantemente come fa il restauratore quando vuole togliere una vernice aggiunta ad un vecchio mobile riscoprendo l’antica architettura/fantasia della natura, le venature del legno, le linee, i ghirigori, i luoghi più impenetrabili anche per un chiodo, id est…il nodo. 

La scuola cattolica procede essenzialmente su quattro linee:  la formazione in connessione con l’insegnamento, il problema della libertà, il problema della reazione, il contesto sociale – che i primi tre abbraccia, cioè la middle class, la vecchia borghesia. Il delitto del Circeo, dunque, un delitto che fece scalpore anche perché, a quei tempi – tempi in cui la politica era pane quotidiano – gli si diede il taglio giornalistico riconducibile al binomio “fascisti/aggressori – ragazze del popolo/vittime”. Niente di tutto ciò troverete in questo libro. La dicotomia destra/sinistra non esiste. Il punto di vista di Albinati è quello delle vittime, a prescindere dalla politica. Non sembra, infatti, aver fondamento la critica di alcuni secondo i quali il libro parli solo degli assassini e non delle vittime. In realtà, Albinati parla non solo delle vittime di quel delitto, ma di tutte le vittime del maschio. Scrive, a pagina 171: “La lotta tra ricchi e poveri, tra vecchi e giovani, tra uomini e donne, vengono combattute da millenni, l’ultima è la meno clamorosa, ma forse si tratta della più antica. Mentre le altre guerre conoscono momenti di tregua o stagnazione, questa no, a meno di considerare l’amore come una specie di armistizio o di intervallo di pace, cosa per altro assurda dato che sono proprio l’attrazione e la necessità reciproca a causare il conflitto e negli sviluppi dell’amore questo può raggiungere punte di massima virulenza”.  

Albinati non è un fustigatore della borghesia o del cattolicesimo o di chissà cosa, lui cerca invece di capire come funzionano certi meccanismi. Non si pone in mezzo, bensì tenta di vedere le cose dall’alto. Riflette sul fatto che il germe della violenza si nasconde nel binomio dolore/piacere, cioè nell’atto sessuale, e sul compito della scuola di contenere ciò che veicola la violenza, ossia l’aggressività. Ma se “si gratta”, sugli insegnamenti viene fuori qualcosa di raccapricciante: “Bastava andare un dito sotto o qualche pagina più in là, tra gli episodi meno spesso raccontati, nascosti tra le parentesi e i riassunti, come quando Achille sgozza un po’ di prigionieri troiani, per celebrare il funerale di Patroclo. Eh già! Li sgozza mentre quelli avevano le mani legate dietro la schiena. È roba che si insegna a scuola (o s’insegnava e ora non più, eppure ai tempi miei sì, eccome) a ragazzini di tredici quattordici anni, e come esempio di eroismo, modelli da imitare, voglio dire, sì, il grande Achille, un mito, un eroe! Crudele, anzi crudelissimo, e soprattutto questo aveva di superlativo il suo eroismo. Forse più crudele ancora di lui, perché più furbo, l’altro eroe, per il quale facevamo il tifo accesamente: Ulisse.  Il Re di Itaca. Che in spedizione a Troia taglia la gola ai nemici immersi nel sonno. E il bambino piccolo di Ettore? Lo fa buttare giù dalle mura della città in fiamme”.

La scuola cattolica, immagine del processo per il delitto del Circeo
Due degli imputati del delitto al processo.

Molte pagine prima, Albinati scrive: “Da ragazzini, in verità, si vive immersi in continue uccisioni, perlopiù immaginarie ma non meno spaventose. Ogni volta che giocavamo, facevamo fuori una quantità di nemici e quasi sempre toccava pure a noi, a un certo punto, morire”. Lo scrittore ritiene che la maniera per educare il maschio sia di dosare la sua aggressività: “non va repressa altrimenti si accumula e può scaricarsi tutta insieme, e nemmeno negata o cambiata di segno col rischio di produrre una nidiata di chierichetti o (Dio non voglia!) una vera e propria inversione sessuale. Mentre a esaltarla come una cosa di sano e vigoroso si finisce diritti nel fascismo, anche se camuffato in veti bianche. La storia di questo libro a fianco di altre storie racconterà, dovrebbe illustrare come, almeno in un’occasione, a lungo preparata da numerosi fattori concomitanti, verso la metà degli anni settanta del secolo scorso, i preti sbagliarono la formula, appunto, sbagliarono il dosaggio dei vari ingredienti o furono sfortunati, sicché la miscela si incendiò ed esplose”.  

Al problema dell’insegnamento, segue quello della libertà. La sua generazione è stata la prima a godere di piena libertà, una libertà maggiore di quella che abbiamo noi oggi. “Il problema di avere il mondo a disposizione senza limiti e senza ripercussioni è di sviluppare un senso di onnipotenza per cui ogni gesto, anche quelli distruttivi, può spingersi fino in fondo e poi ritrarsi, lasciando intatto chi l’ha compiuto… ci si può illudere insomma di essere liberi di fare quasi tutto o proprio tutto… Questo spiega almeno in parte il carattere dei giovani protagonisti di questa storia nell’epoca in cui si svolge… essi crescevano, come si diceva una volta, nella bambagia:  coccolati in famiglia, scuola privata, signorine straniere come tate… protetti da qualsiasi urto… e grazie a questa immunità miracolosa potevano spingersi all’estremo opposto, nel pericolo e nella violenza, convinti che l’avrebbero passata sempre liscia” – pagina 571. Commettere un omicidio e poi andarsi a mangiare un gelato o magari tornare a casa per cena. “Crebbero con l’intima certezza di avere un diritto su tutto”.

La violenza politica e la questione femminile

Quelli sono stati anche anni di una estrema violenza politica. A sinistra, i giovani si incontravano e a tavolinetto pianificavano un delitto seguendo una loro dottrina. A destra, dove l’ideologia non aveva una vera e propria dottrina, regnava il nichilismo, i nemici erano tutti, colpivano nel gruppo. “Terroristi di sinistra e terroristi di destra. I primi volevano la dittatura del proletariato, e hanno fatto il possibile perché l’incubo si avverasse, non ci sono riusciti, e va bene, ma i secondi? Cosa volevano? Non si capisce quale progetto o utopia ci fosse nella mente dei terroristi di destra, se mai ci fosse qualcosa, intendo quelli non manovrati dai servizi segreti. Pervasi dal mito dell’eroe uccidevano e si facevano uccidere o finivano all’ergastolo per difendere il futuro diritto delle signore di collina Fleming a parcheggiare in seconda fila. Hanno messo bombe nelle piazze per permettere a quelle finte bionde di fare aquagym. Hanno difeso con il sangue lo status quo. Il tennis, i Parioli e il Maurizio Costanzo Show. Affinché i comunisti non potessero metterci su i loro artigli. Hanno fatto saltare treni e banche per questo” .

Il delitto del Circeo scosse l’intera opinione pubblica e si ebbe una reazione capillare a livello di emozioni individuali e collettive. Il quartiere Trieste, spesso confuso con i Parioli, era un quartiere senza identità che, bene o male, fino a quel momento era apparso come un luogo tagliato fuori dal mondo, quindi tranquillo. Ma dopo i fatti del Circeo la gente cominciò ad avere paura, paura del vicinato, per i proprio figli e anche dei propri figli. Fu come se con il delitto del Circeo quel quartiere avesse perduto la sua verginità, tanto è vero che da quel momento in poi divenne teatro di molti omicidi. “La più grave minaccia per la classe media non viene dal basso, come ha sempre creduto, ma dal suo stesso spirito innovatore”. E qui Albinati fa una riflessione che, con il senno di poi, non può che essere condivisa. La violenza della sinistra e della destra sono le chele dello stesso scorpione, e il pungiglione è lo stesso. E cosa fa uno scorpione quando non ha via di scampo? Si punge con il suo stesso veleno. In quegli anni lo scontro fu tra un radicale bisogno di distruggere il passato e un disperato tentativo di salvarlo. “Il problema sorse quando le cose che erano state fino ad allora pensate o dette, cominciarono ad essere anche fatte. Gli slogan minacciosi si iniziò ad applicarli. Fu la fine dell’ipocrisia e l’inizio della fine”.

La scuola cattolica, Edoardo Albinati foto
Edoardo Albinati

A detta di Albinati, cosa condivisibile tra l’altro, il vero movimento rivoluzionario di quegli anni non fu né il comunismo né il fascismo, bensì il femminismo. La donna, per la prima volta, mette in discussione uno stato delle cose che è forse la più antica monarchia assolutista di sempre: la sua posizione all’interno della famiglia e della società che, per intenderci, non era molto diversa da quella delle donne di oggi nei paesi islamici. Lo conferma il dato che quello stesso anno a Roma scomparvero per sempre venticinque donne, ma su di loro non fu scritto un rigo.

La scuola cattolica non parla semplicemente dell’educazione o del contesto che hanno dato vita a quell’orrore, bensì della guerra del maschio alla donna. “Il libro che state leggendo, quindi, tratta di un episodio periferico di questo conflitto, di questa guerra di liberazione ben lontana dall’essere conclusa con la vittoria di una delle parti in campo: un episodio di rappresaglia”. La scuola cattolica è il corpo della donna, il luogo di svago (scuola dal greco skholé) su cui da sempre il maschio (universale, katholikós) ha sfogato la sua natura, i suoi istinti, che sono una malattia e, come una malattia, possono infettare. Leggere e diffondere questo libro è una forma di prevenzione.