Forugh Farrokhzad, scura, brusca, bruciante, per sempre giovane. L’iraniana dolce e ribelle che con la sua poesia sfidò la tradizione islamica.
Notti insonni
Ascolto vuoti silenzi
Elaboro il nulla
Setaccio il mare
Il dolore è già Amore.
Forugh Farrokhzad nasce a Teheran il 5 gennaio del 1935, figlia di un militare e di una casalinga.
Segue gli studi di disegnatrice di moda e si dedica alla pittura.
A sedici anni sposa un anziano cugino Parviz Shapoor, disegnatore e caricaturista, con un matrimonio combinato dalla famiglia secondo la tradizione islamica.
Nello stesso periodo inizia a scrivere versi.
Nel 1952 pubblica, incoraggiata anche dal marito, la sua prima raccolta di poesie Asir (“La prigioniera”).
Fu un grande scandalo: per la prima volta una donna islamica esprimeva le proprie emozioni intime con versi espliciti e immediati.
Giudicata peccatrice e immorale, subì la critica più aspra e offensiva dalla cultura integralista bigotta e tradizionalista: fu denominata ben presto la poetessa del peccato.
Lo desidero perché mi stringa a sé
mi stringa a sé che sono folle d’amore
e avvolga alla mia esistenza, forte
quelle braccia possenti e calde
vorrei, nei suoi baci ardenti
cercare rovente passione del piacere.
Forugh Farrokhzad diventa, suo malgrado, la voce del dissenso femminile, non per una consapevolezza intellettuale, ma istintivamente: il suo scopo era di far comprendere l’integrità individuale di una donna, artista e poeta che si avvicina all’arte senza dover mascherare la propria realtà interiore.
“Coraggiosa, non cercava né alibi né difese, come i professionisti del dolore conosceva da vicino i loro desideri, l’orrore del mondo, e come gli esperti della giustizia sentiva la necessità della lotta senza mai tradire la sua ispirazione profonda”; è la prima donna in Iran a scrivere di amore, desiderio, sensualità, e questo era intollerabile.
“Annegate (nella loro) gioventù non colpevole” e limitate ad una vita repressa dietro le tenda delle tradizioni, le donne giovani come lei hanno desiderato liberarsi dalla prigione della castità velare e hanno forzato il comportamento tradizionale, gridando fuori la propria natura.
Dopo 3 anni, il legame matrimoniale comincia a pesare sul suo temperamento artistico–intellettuale, anche perché Forugh non accettava la supremazia maschile che la legge coranica imponeva e a cui il marito si rifaceva. Sceglie il divorzio e, per poterlo ottenere, deve rinunciare per sempre a vedere il suo figlioletto Kamya di tre anni. Una scelta difficile compiuta per la passione e l’amore per la poesia e per l’arte.
“Ninna nanna, bambino mio, / chiudi gli occhi, / è sera… / La madre, un grembo pregno di colpe!…”.
Ma Forugh Farrokhzad “paga” duramente le sue coraggiose scelte con una forte depressione che la porterà a ricoverarsi per un mese in un ospedale psichiatrico.
Sono depressa
Vado nel giardino e stendo le dita
Sulla pelle tesa della notte
Le lampade che si uniscono sono spente
Nessuno mi introdurrà alla luce del sole
O mi accompagnerà al raduno dei passeri
Impara il volo a memoria
Giacché l’uccello è mortale
Uscita dall’ospedale, ricomincia a disegnare e a dipingere; scrive altre due raccolte di poesia Divar (“Il muro”) e Osyan (“La ribellione”).
Parlo dal profondo della notte
dal profondo del buio
e dal profondo della notte
parlo
se verrai a mia casa, amico
portami una luce e una finestra
che io possa osservare attraverso
la folla felice nel vicolo.
Nel 1958 conosce il regista–scrittore Ebrahim Golestan, di cui diventa fedele collaboratrice e con il quale nasce un intenso legame amoroso che, fra alti e bassi, l’accompagnerà fino alla sua morte.
Inizia a occuparsi anche di montaggio, sceneggiatura e regia. Si cimenta nel 1963 anche come attrice in Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello.
Nel 1962 realizza un documentario sulla vita dei lebbrosi in una casa di cura di Tabriz dal titolo Khamnè siyab ast (“La casa è nera”), che vince il primo premio alla regia al Festival di Uberhausen e nello stesso anno pubblica la sua opera poetica più importante, Tavallodi digar (“L’altra nascita)”.
Nel 1965 l’UNESCO realizza due cortometraggi sulla sua vita. Nel 1966 partecipa alla seconda edizione del festival cinematografico di Pesaro.
Non cessa la sua intensa attività di scrittrice e traduce in persiano molte poesie occidentali.
Era in piena attività produttiva quando, il 13 febbraio del 1967, perse la vita in circostanze misteriose in un incidente stradale a Teheran.
La mia morte verrà un giorno
Un giorno di primavera, luminoso e bello
un giorno di inverno, distante polveroso,
un vuoto giorno di autunno, privo di gioia.
La terra mi invita nel suo abbraccio,
La gente mi raccoglie e mi seppellisce là
Forse a mezzanotte i miei ammiratori
Poseranno sopra di me corone con tante rose.
Sarà pubblicata postuma l’ultima, e forse anche la più importante, raccolta poetica, “Imam biavarim be aghaz-efasl-esard” (Crediamo soltanto all’inizio della stagione fredda).
A oltre 40 anni dalla sua morte, rimane fra i più importanti punti di riferimento per la poesia persiana femminile. E’ stata l’unica coraggiosa voce del dissenso e della ribellione, un mito che è riuscito a superare, oltre la morte, anche la rivoluzione islamica. Un punto fermo per le generazioni di artisti che vogliono inventare nuovi spazi di libertà. Ancora oggi è fra i poeti persiani più amati e letti. La voce di Forugh Farrokhzad, “poetessa del peccato”, rivive con le donne di Teheran. I suoi versi sono indissolubilmente legati alla tradizione e allo splendore della poesia persiana antica. La poesia incisa sulla sua lapide è un monito a lottare per l’emancipazione della donna in un mondo per la libertà .
Nonostante l’ intensità e la bellezza della sua lirica rarissime sono le traduzioni in italiano di questa eccezionale poetessa e la maggior parte sono state tradotte, non sempre esemplarmente , da testi in inglese o in francese.
In genere già una traduzione fa perdere atmosfera, fascino e musicalità alla poesia, figuriamoci una seconda!
Traduzioni in italiano:
Per la rivista Poesia, Crocetti Editore, Milano www.crocettieditore.com:
nel numero 85 di giugno del 1995: “La poesia libera di Forugh Farrokhzad” a cura di Nicola Bultrini e Chiara Alice Riccarand ; nel numero 197 di settembre del 2005 una selezione della raccolta “Forugh Farrokhzad, solo la voce che resta” a cura di Faezeh Mardani.
Nel 2006 è stata pubblicata dall’archivio del centro “Gino Baratta” del Comune di Mantova la raccolta ormai introvabile “Crediamo all’inizio della stagione fredda” edito da Sometti editoriale. La traduzione e stata curata da Mojgan Heidari con la versificazione di Luciano Prandini. Nel 2008 la casa editrice Orientexpress di Napoli, per la collana Le Ellissi, ha pubblicato il volume di poesie “La strage dei fiori” , con la traduzione a cura di Domenico Ingenito. Nel 2010 Aliperti editore, pubblica la raccolta completa di “E’ solo la voce che resta” a cura di Faezhe Mardani. Nel 2015 per conto della Càriti editore è stato tradotto e pubblicato il suo memoriale del viaggio in Italia “In un’ altra terra” a cura di Marzieh Khani.