I nativi urbani di Tommy Orange

Non qui, non altrove di Tommy Orange, edito dalla Frassinelli, è la vera rivelazione del 2019, la storia di ciò che resta di un genocidio riuscito e mai troppo studiato. Attenzione, si parla di ciò che è rimasto e che non ha nulla a che vedere con l’immagine dei nativi costruita da Hollywood ed è questo che fa del libro un lavoro insolito. Tommy Orange parla del nativo urbano, uscito dalla riserva, storie di sottoproletariato, bambini abbandonati dai padri e che neanche sanno di essere “indiani”, non conoscono se non per sentito dire il nome della loro tribù di appartenenza. Quando per la prima volta alcuni di loro ascoltano la musica sacra si sentono attratti ma altri fanno spallucce, preferiscono tornare nel mondo online o allo spaccio in strada, ecco perché un genocidio riuscito, ma la vita resta di per sé un evento straordinario, quasi magico – il suo generarsi, il suo durare. E allora quel che è rimasto, queste vite violate, calpestate, sparse e perdute in tutto il suolo degli Stati Uniti d’America, per pura casualità iniziano a intrecciarsi, sono tanti ruscelli che nella solitudine dei boschi poco alla volta scendono a valle fino a raggiungere un lago o il mare, il tutto costellato da avvenimenti insoliti ma possibili che quasi creano aloni di realismo magico, grazie a due cose per natura agli antipodi, tecnologia e credenze: stampanti laser capaci di creare pistole, bozzi putrescenti esplosi nelle gambe da cui escono presunte zampe di ragno – e il ragno è l’uomo bianco che ha tessuto pazientemente fino a imprigionare tutto.

Copertina del testo Non qui, non ora di Tommy Orage
Tommy Orange

La ragnatela e la pistola

Orange crea una galleria di personaggi indimenticabili, il solitario e arrabbiato Tony Loneman, figlio di una alcolista e affetto da sindrome feto-alcolica; Edwin Black, giovane aspirante scrittore, figlio di una bianca e di un nativo che non ha mai conosciuto in vita sua, tal Harvey, con cui entrata in contatto grazie all’online; Harvey è un uomo che ha smesso di bere da anni, ma da giovane si è macchiato di un terribile delitto, ha stuprato la piccola Jacquie Red Feather durante l’occupazione di Alcatraz da parte dei nativi nei ’70. Jackie e Harvey, assieme a Edwin, Dene, Opal e a tutti gli altri personaggi si incontreranno al Powwow che si tiene a Oakland. Il casuale viaggio in macchina tra la vittima Jackie e il suo vecchio carnefice Harvey, che parlano dell’accaduto perché si sono riconosciuti, sono forse le più riuscite di tutto il libro e, visto il delicato tema, lì si comprende che Tommy Orange è un fuoriclasse.

Considerando la robaccia in circolazione oggi grazie alla spregiudicatezza di alcuni uomini che non sono politici o giornalisti ma febbricitanti delinquenti intellettuali (l’ultimo libro esemplare mi è comparso l’altro giorno lungo il flusso di Facebook, parla della “persecuzione dell’uomo bianco”) ebbene, io consiglio soprattutto la lettura delle prime 40 pagine di Non qui, non altrove perché in pochi sanno che i nativi non sono semplicemente morti di pistolettate, di malattie importate dagli europei e di fame, ma sono morti anche squartati in pubblica piazza, durante le feste del popolo, per gioco, né più né meno di come avveniva con la Crypteia ai tempi degli Spartani, soldati ubriachi con le viscere delle vittime in mano che cantavano, ballavano. Leggiamo a pagina 3: “Nel 1637, … i pequot si riunirono per l’annuale danza … i coloni circondarono il villaggio … e il governatore lo dichiarò un giorno del ringraziamento”.

Orange cita James Baldwin ed io mi sento di chiudere proprio con le sue parole: “La gente è intrappolata nella storia e la storia è intrappolata nella gente”.