Il successo di Bohemian Rapsody segna una nuova tendenza proveniente da Hollywood: il film karaoke. Non banalmente musical, non precisamente il classico biopic dedicato a un artista o a un periodo musicale, questa nascente tipologia di opere, sulla scia del film dedicato a Freddy Mercury e ai Queen, enfatizza l’aspetto prettamente incentrato sull’origine e l’esecuzione delle hit musicali, entusiasmando gli spettatori che possono così ballare e cantare trascinati dal ritmo e dalla melodia delle loro canzoni preferite. Parliamo già di tendenza perché in arrivo nelle sale c’è Rocketman, dedicato ai primi anni di carriera di Elton John, e già si parla di un nuovo progetto dedicato a David Bowie, ed altri ne potrebbero venire.
Perché film karaoke? Più che focalizzare il proprio interesse sulla vita di una band o di un cantante, come nelle più classiche cine-biografie stile Ray o Quando l’amore brucia l’anima, giusto per citare due titoli del decennio precedente, questi film puntano tutto sul coinvolgimento emotivo delle canzoni messe in scena durante il film. In un certo senso queste opere si presentano come l’altra faccia dei cosiddetti rockumentary che negli ultimi anni hanno invaso le nostre sale, opere che documentano concerti di Metallica, Pearl Jam, Led Zeppelin, solo per citare alcuni nomi tra i tanti che hanno avuto l’onore dell’uscita al cinema: la differenza è che il linguaggio documentario viene sostituito da un processo di “finzionalizzazione”, affidandosi innanzitutto ad attori che cercano l’effetto imitativo stile Bagaglino. Ma anche la regia cerca di riscrivere l’elemento documentario di un’esecuzione o un concerto, come dimostra il finale di Bohemian Rapsody, che ripropone fedelmente lo show dei Queen durante il Live Aid, puntando a una mimesi digitale di un evento noto, ripreso con i mezzi analogici di allora e trasmesso in tutto il mondo. E se poi in sala si distribuisce una versione alternativa del film con i testi delle canzoni che scorrono, come accaduto per il succitato successo sui Queen, allora la definizione di film karaoke ci pare più che adeguata.
Oltre il film karaoke: due esempi
Per il cinema musicale si tratta della tendenza più interessante in termini di riscontro commerciale e sociologico, ma non l’unica: questa stagione è stata segnata anche da altri biopic musicali molto sui generis. Il primo è The Dirt di Jeff Tremaine, dedicata alla band Motley Crue, che invero si concentra poco sulla creazione musicale e molto sugli eccessi a base di sesso e droga, smontando allo stesso tempo con intelligenza i meccanismi logori e stereotipati del filone, sfondando la cosiddetta quarta parete e ironizzando sui consueti topoi. L’altro titolo potenzialmente cult è Lords of Chaos di Jonas Akerlund, di prossima uscita anche in Italia, storia drammaticamente vera di una band black metal scandinava, un racconto cupo e sanguinario che sciocca come e più di un horror. Due titoli notevoli ma marginali, destinati a un culto cinefilo per pochi: tutto il contrario del film karaoke, che vanta un forte afflato popolare, e per una volta non sembra indotto dal marketing, quanto invece il frutto di un’autentica consonanza tra pubblico e produzione filmica, almeno nel caso del film sui Queen, in attesa di altri riscontri.
Il cinema musicale in Italia
E in Italia? Storicamente il nostro Paese non ha mai avuto una grande tradizione di cinema musicale dopo il periodo del muto e i primi anni del sonoro. A parte poche notevoli eccezioni come Carosello napoletano, la nostra produzione più di genere si è concentrata lungo tre direttive, principalmente nei primi anni Sessanta e Settanta, e vede seguire i moduli della sceneggiata (storie fortemente melodrammatiche di origine e tradizione meridionale), del musicarello (con protagonista la star musicale di turno nella doppia veste di attore e cantante in scena), e il proto videoclip, una vera e propria antologia di esibizioni musicali tenute insieme da un filo narrativo esile, talora persino surreale, come in pellicole quali Questo pazzo pazzo mondo della canzone. Negli ultimi anni ci sono segnali di un’inversione di tendenza, come dimostra il successo degli ultimi film dei Manetti Bros, in particolare di Ammore e malavita, che rivede con intelligenza gli stereotipi della sceneggiata contaminandoli con l’action movie hongkonghese e il film di gangster di stampo gomorrista.
Un film che poteva avere una struttura potenzialmente simile al film karaoke in oggetto è Un’avventura di Marco Danieli, un musical ispirato alle canzoni di Lucio Battisti: chi meglio di lui avrebbe potuto far esaltare il pubblico mostrando la genesi dei maggiori successi firmati insieme a Mogol? Peccato che regista e produttori abbiano optato invece per una struttura narrativa da musical classico, con canti e balli solo ispirati dalle canzoni del duo, raccontando una storiella sentimentale e zuccherosa invero dall’esito poco fortunato al box office: e l’impressione è che sia stata un’occasione sprecata.
Conclusioni
In attesa di cogliere gli sviluppi futuri, il film karaoke sembra essere una delle poche oasi felici di chi rimpiange il vecchio cinema popolare di una volta, quello non obnubilato dai budget extra large dei blockbuster odierni, ma mossi da un sentimento genuino di attrazione e soddisfazione circa i desideri e le aspettative del pubblico. Chi pensava che saremmo morti di cinecomics forse ha ancora una speranza: una canzone pop ci salverà dall’inerzia dei successi comandati a tavolino di questi tristi tempi?