FEFF 20: an Eastplosive Festival

Udine, CEC – Le giornate udinesi scorrono veloci quando hai qualcosa di interessante da fare; e il FEFF – Far East Film Festival è sicuramente tra le tre cose più interessanti dell’anno (non solo per Udine): l’appuntamento quotidiano è con la prima proiezione delle nove e l’ultimo con quella di mezzanotte, salvo poi sorseggiare qualcosa con gli amici nei localini del centro che, per l’occasione, sono diventati “amici del FEFF”.
Allegria, spontaneità, semplicità: sono le parole che possono indicare gli aspetti immediati che può avvertire chi si imbatte nel FEFF. Niente star irraggiungibili, tappeti transennati, guardie, ridicoli comprimari snob. Solo gente comune, appassionati che farebbero di tutto per vedersi il film tratto dal fumetto preferito o quella back comedy tanto surreale. Qui si respira solo sano amore per la settima arte e la voglia di mescolarsi a chi, come te, vive di celluloide e contatti umani.

La panoramica sui titoli finora proposti:

On happiness road di Sung Hsin Yin, Taiwan: animazione elementare, figure e sfondi piatti come nei mitici cartoni televisivi anni ’80 (appunto), e sceneggiatura di grande confusione e banalità sull’esistenza. Un bicchiere di vino dà più gusto, colore e tridimensionalità alla vita. Voto: 5 –

1987: When the day comes di Jang Joon-hwan, Corea: capace di essere lirico ed epico, è un grande passatempo e, al contempo, una forte pagina di testimonianza storica. Trascinante dall’inizio alla fine, con un cast stellare, una scrittura tambureggiante, una regia solida, ma capace di altissime pagine cinema-fotografiche. Non originale, certo, ma vibrante e passionale, giustamente retorico e totalmente appassionante. Voto: 9

Never say die di Song Yang, Zhang Chiyu, China: un tempo c’erano i cinesi tristi e rurali ora ci sono anche queste versioni alla “Hot Shots”, ma realizzate sapientemente, con gran ritmo e ottimi attori. Mille idee che si rincorrono e s’intrecciano, lasciando divertiti e soddisfatti. Una film comico veramente soddisfacente. Voto: 7 ½

The Scynthian Lamb di Yoshida Daihachi, Giappone: alcune cose avrebbero potuto essere limate in scrittura o montaggio, ma il tocco lieve e sospeso del miglior cinema giapponese emerge, i personaggi sono tipicamente “fuorigiri” e le situazioni al limite di un assurdo poetico che fa trasparire l’anima. Bello, lento, avvolgente. Da amare. Voto: 7 ½

Wrath of silence di Xin Yukun, China: nei primi 20 minuti lo sguardo in campo lungo sulle vastità della Mongolia si alterna al dettaglio su particolari macabri. Le cose non si sposano e non si respingono. Non sembrano proprio dialogare. Abbastanza per abbandonare la proiezione.

The Blood of wolves di Shiraishi Kazuya, Giappone: la materia prima ci sarebbe, gli attori ci sono, la tecnica lascia intravvedere momenti di grande consapevolezza (la sequenza della rivelazione della concubina è bellissima!). Tutto, però, è eccessivo, gratuito, spesso confuso. Un’occasione fastidiosamente sprecatissima. Voto: 4

One cut of the dead di Ueda Shinichiro, Giappone: un omaggio al (fare) cinema? Secondo me una fastidiosissima, banale, povera baracconata dall’umorismo infantile e facilissimo. Al massimo, un inutile divertissement. Grande successo di pubblico che l’ha immediatamente eletto a capolavoro immortale della risata, con tanto di standing ovation per il cast (gentilissimo e spassoso). Vittoria finale? Voto: 4

Youth di Feng Xiaogang, Cina: Feng Xiaogang ha un grandissimo mestiere per allestire eccelse pagine di cinema, ma in questo caso la retorica si fa strada ed è sempre più soffocante col passare dei minuti. Nelle volontà un grande film che soffoca pian-piano nel fastidio sentimentale. Voto: 4