Far East Film Festival 2021, Udine – FEFF23

L’arena esterna al cinema “Visionario” per le proiezioni serali

FEFF23 – Molti pensano sia stato liberato da un laboratorio cinese come maldestro tentativo di conquistare il pianeta; altri che sia stato partorito dal genio di Bill Gates per aprire nuove windows sul mondo; altri ancora che sia una volontà delle lobby dei centri commerciali per cancellare la minacciosa resistenza no-global dei mercatini popolari.

Fatto sta che l’uomo comune ha visto l’annus horribilis 2020 come quello marchiato dalla (necessaria) privazione della libertà e, di conseguenza, dell’annullamento di ogni ordine e grado di possibilità di interazione sociale.

La mia sottospecie – homo communis festivalierii – poi, totalmente dedita alla visione di altri mondi necessariamente irreali per poter vivere al meglio e confermare la banale realtà, s’è vista annullare ogni forma di raccordo con l’evanescente concretezza dell’incontro in sala: relegando anche i festival alla sola fruizione solitaria, si è annullato quel loro carrozzone caleidoscopico, tanto ipertrofico quanto evanescente, eppur impagabile, a corredo delle continue proiezioni.

Sentendoci privati, in alcuni casi, del senso stesso della vita – raccontarsi, raccontando; proiettarsi, guardando – abbiamo pergiunta dovuto murarci in casa, destreggiandoci tra gli infiniti abbonamenti del digitale: solo abbandonandoci ai nostri golosi, quanto inutili, binge drinking ci siamo garantiti la sopravvivenza della nostra bolla-rifugio.

“Ito” di Yokohama Satoko (Giappone, 2021)

E meno male che, in questa forzatura, la spinta digitale è avanzata, costringendo ad allenarci alla nuova interazione informatica: solo così abbiamo potuto comunque godere del lato positivo di un 2020 difficilmente salvabile.

E abbiamo capito che la nuova realtà non può – e non deve – prescindere dalla dimensione on line: anche per i festival, questa è un strada che non sostituisce il piacere dell’immersione cinematografica, ma diventa una carezza contro le distanze, i contrattempi, la maledetta frenesia che ci impedisce, ad esempio, di essere presenti a Udine per la visione del lunedì alle 9 o del martedì alle 23.

Quindi rendiamo grazie ai visionari del CEC di Udine del FEFF23 – Sabrina Baracetti, Thomas Bertacche e tutto il loro gruppo di lavoro, che il dio del cinema li preservi! – per aver combattuto per dare luce (e buio in sala) all’edizione in presenza appena conclusasi, avendo comunque salvaguardato quella parallela su mymovies.it (prassi ormai seguita a ruota da tantissime altre organizzazioni festivaliere).

Per chi non lo sapesse, il FEFF23 è l’annuale festa del cinema asiatico che si svolge a Udine e regala una settimana (di solito a fine aprile) di puro piacere per gli occhi e per il palato in un clima rilassato, spensierato e coloratissimo.

Un’edizione, quella del 2021, traslata a fine giugno e de-localizzata: dai grandi spazi offerti dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” a quelli più intimi, ma completamente rinnovati e accoglienti, del cinema “Visionario” (con annessa arena esterna per le proiezioni serali).

“The spy gone north” di Yoon Jong-bin (Corea del sud, 2018)

E anche qui, di necessità s’è partorito il capolavoro: dalla proiezione unica degli anni scorsi – che ci costringeva ai salti di pasto, alle nottate agitate con almeno tre sveglie puntate, a rinunciare alla vita (lo scrivo per accontentare la platea di benpensanti, ma non riesco proprio a capire quale sia oltre a quella dei film) – a quella doppia su due giornate, sfruttando anche le due sale cinematografiche dell’altro cinema di casa, il “Centrale”.

A dire tutta la verità, se il clima è stato decisamente troppo hot, non si può dire lo stesso dell’atmosfera generale: vuoi la stagione balneare, più che cittadina, vuoi la mancanza degli ospiti con le loro stravaganze… vuoi o non vuoi, questo è, perché il mood si misura in stati d’animo e non dipende dalla macchina organizzativa che è stata encomiabile sotto tutti i punti di vista, andando ben oltre ogni legittima aspettativa.

Tornando sul fronte delle proposte strettamente cinematografiche i premi assegnati dal pubblico sono stati i seguenti (qui la serata di premiazione con una bellissima introduzione del Presidente FEFF23, Sabrina Baracetti): Gelso d’Oro a Midnight Swan di Uchida Eiji (Giappone); Gelso d’Argento a You’re Not Normal, Either! (Giappone) di Maeda Koji; Gelso di Cristallo e Black Dragon Award a My Missing Valentine di Chen Yu-hsun (Taiwan); Mymovies award a Limbo di Soi Cheang (Hong Kong).

Non mi soffermerò tanto su questi (ho visto solo Limbo che mi è parso lungo e troppo insistito nei suoi facili simbolismi, seppur realizzato con ottima tecnica); mi piacerebbe, invece, segnalare tre film che sono stati poco citati all’interno del trend cinefilo e che ritengo siano, per motivi diversissimi tra loro, assolutamente degni di nota: “Ito” di Yokohama Satoko (Giappone, 2021), “Back to the wharf” di Lì Xiaofeng (China) e, fuori concorso, “The spy gone north” di Yoon Jong-bin (Corea del sud, 2018).

“Back to the wharf” di Lì Xiaofeng (China)

Tre film per le tre cinematografie principali del continente asiatico: The spy gone north è il classico filmone prodotto dalla fantastica CJ Entertainment, curato nei minimi dettagli e con un grandissimo dispiego di energie produttive. La trama – spionaggio e ambiguità politiche a cavallo tra Nord e Sud della Corea – è molto gustosa e saldamente avvicendata grazie a una sceneggiatura scorrevole e mai eccessivamente contorta. Interessante, denso e con un coprotagonista di assoluto livello: il classico film da cui ci si lascia facilmente rapire.

Ito propone ciò che ci si aspetta dal classico film giapponese da FEFF23: atmosfera rarefatta dai ritmi distesi e personaggi stralunati protagonisti di scene sospese tra il fiabesco, il cartoon (pardon, manga) e il nonsense. E lo fa, come i migliori di questa cinematografia, partendo dal dettaglio/momento apparentemente insignificante e arrivando a toccare le corde del sentimento e il senso della vita (ricerca di sé, crescita, …), tra sorrisi e lacrime nella distensione generale del tocco registico.

Back to the wharf è il film esistenziale che non ti aspetti, tra destino e redenzione: la prima mezz’ora ha una potenza – visiva, drammatica – che incolla allo schermo e perfora le viscere. Una discesa agli inferi della vita per colpa di una sfortunata circostanza. Protagonisti dai volti perfettamente calati sui personaggi e attori assolutamente in parte. La compattezza e la densità di questo prologo proseguono lasciando spazio a un affresco che interseca (de)formazione personale e corruzione sociale, usufruendo di ellissi che accelerano la trama e consentono di pennellare un quadro (regia e fotografia lasciano un’impronta notevole) che assorbe completamente la visione e lascia una scia ben definita anche oltre la stessa.

Concludendo: grazie di esistere in tutte le tue forme e in tutti i nostri sogni, caro FEFF23! e appuntamento al prossimo anno, sperando di tornare al “vecchio” con la consapevolezza del “nuovo”!!!

“Back to the wharf” di Lì Xiaofeng (China)