Con 45 Anni Andrew Haigh si è imposto di prepotenza sulla scena del cinema europeo. Alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia, il regista britannico ha portato il suo nuovo film ambientato negli Stati Uniti, adattamento del romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin.
L’American dream per il sedicenne Charley Thompson (Charlie Plummer), protagonista del film, è sentirsi a casa, avere qualcuno che si occupi di lui, qualcuno magari da amare a sua volta. Abbandonato dalla madre appena nato, Charley vive con un padre incasinato e immaturo (Ray, interpretato da Travis Fimmel) a cui vuole bene, ma che non riesce a farlo sentire davvero protetto. La cronica mancanza di soldi porta il ragazzo a farsi assumere come aiutante in un maneggio di Portland, Oregon, dove si è da poco trasferito.
A gestirlo è Del Montgomery (Steve Buscemi), che da molti anni allena cavalli e sopravvive con cinismo nel mondo delle corse e degli scommettitori. Attraverso Del, Charley fa amicizia con Bonnie (Chloë Sevigny), fantina altrettanto disincantata, e soprattutto con “Lean on Pete”, un quarter horse a cui si affeziona in maniera profonda. Quando Charley capisce che il destino dell’amico è segnato – il cavallo è malandato e non più competitivo – rischia il tutto per tutto pur di non tranciare il prezioso legame con l’animale.
Lanciato da Weekend e soprattutto da 45 Anni, Andrew Haigh adatta il romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin come la personale epopea del suo giovanissimo protagonista contro la solitudine. Lean on Pete non è tanto un racconto di formazione, quanto la ricerca da parte di Charley di un posto da chiamare casa, di radici solide, basi sulle quali iniziare a costruire un’identità e quindi anche un futuro.
Tra echi di Steinbeck e Dickens, il film – grazie alla sensibilità di sguardo umano e registico di Haigh – si prende tutto il tempo necessario per delineare il cammino del suo protagonista verso il Wyoming alla ricerca di una vicinanza affettiva e familiare, sullo sfondo di un’America intrisa di amara epicità, nei suoi paesaggi così come nei suoi abitanti, tutti un po’ sconfitti, soli o insoddisfatti. E se la prima parte del film è davvero toccante, lasciando percepire allo spettatore tutto il portato emotivo di Charley, purtroppo la seconda parte non risulta altrettanto riuscita, appesantita da snodi narrativi non sempre convincenti e centrati.
Charley Thompson è una ballata malinconica ma non priva di speranza, un film duro ed emotivamente toccante che non sbraca mai nel didascalico o nel sovraccarico melodrammatico. Il regista britannico dirige un racconto intimo e asciutto con uno stile classico e improntato al realismo, dove il vero motore è l’intensa interpretazione del diciottenne Charlie Plummer, sempre in scena, che con un lavoro di sottrazione – mai piatto – riesce a trasmettere la condizione di disperata determinazione del suo personaggio.
Plummer, che a Venezia ha portato a casa il Premio Mastroianni per il miglior attore emergente, ha in realtà alle spalle già diverse esperienze in tv e al cinema. Ha, inoltre, interpretato John Paul Getty III in All the Money in the World di Ridley Scott, girato in Italia, diventato celebre per le scene rigirate da Christopher Plummer dopo l’estromissione di Kevin Spacey. Non si può quindi parlare propriamente di un emergente, ma l’intensità della sua performance e anche il film meritavano un riconoscimento dalla giuria. Riconoscimento che, non dimentichiamo, ha già portato fortuna a Jennifer Lawrence (lanciata da Burning Plain), Diego Luna, Gael García Bernal, Mila Kunis, Jasmine Trinca e Tye Sheridan, tra gli altri.