Primo titolo del concorso internazionale del Biografilm Festival 2018 è The Eyes of Orson Welles, reduce dalla presentazione nella sezione Cannes Classics dell’ultimo Festival di Cannes, dove ha ottenuto una menzione speciale della giuria. Prodotto tra gli altri anche da Michael Moore, il documentario è diretto dal regista e scrittore nordirlandese Mark Cousins (The Story of Film: An Odyssey) che ha accolto la richiesta della terza figlia di Orson Welles – Beatrice, che vediamo nel film – di realizzare un nuovo lavoro sul padre, partendo dalla consultazione degli schizzi e dei disegni del grande filmmaker, conservati gelosamente in una stanza termostatica a New York.

Uno scrigno di segreti a cui Cousins ha accesso esclusivo e da cui si dipana il documentario, che punta a tracciare un inedito punto di vista sull’immaginazione, il processo creativo e la personalità di Orson Welles. Come vedeva il mondo il cineasta di Kenosha? Come viveva l’amore con le donne della sua vita, l’attivismo politico in difesa delle minoranze trasmessogli dalla madre, le ossessioni tematiche e poi visive del suo percorso artistico, migrato felicemente dalla radio al teatro (celebre il suo Voodoo Macbeth) e infine al grande schermo?
Inediti ritratti, storyboard e scenografie di film ma anche schizzi personali, cartoline e illustrazioni private indirizzate ai suoi cari: un patrimonio grafico – accumulato nel corso della vita sin dagli anni dell’adolescenza – che letteralmente si anima in The Eyes of Orson Welles di fronte allo spettatore, il quale è invitato a esplorare le connessioni tra queste linee, la contrastata e contraddittoria dimensione interiore dell’attore-regista e il suo corpus di opere per riscoprirle e rivalutarle in uno scenario attuale in incessante cambiamento – a livello geo-politico, economico e cinematografico – in cui lo sguardo di Orson Welles sarebbe stato ancora tremendamente attuale e incisivo.

Appesantito dalla costante voice over di Mark Cousins, che imbastisce di fatto una lettera d’amore al genio di Welles – immaginandone persino un’ipotetica risposta – il documentario non sempre riesce a collegare bene tra loro i capitoli e i molti argomenti affrontati, ma ha il merito di fornire una chiave di lettura inedita e accessibile, riaccendendo i riflettori sulla complessità del cineasta, una complessità ancora lontana dall’essere pienamente decifrata. Il perfetto antipasto nell’attesa di vedere The other side of the wind, ultimo e inedito film di Orson Welles che, montato da Frank Marshall, uscirà prima in sala e poi su Netflix.