La prima edizione di Io sono vivo, voi siete morti, di Emmanuel Carrère risale al 1993. Philip Dick (1928 – 1982) è un “amore giovanile” di Carrère. Passione che, a quanto pare, non si è estinta nei decenni. L’approccio biografico è tutto teso a tratteggiare i fondamentali passaggi esistenziali del grande scrittore di fantascienza, in una sorta di parallelismo con gli sviluppi psichici di una mente chiaramente instabile.

Storia di una mente instabile
È risaputo che Dick soffrisse di diversi disturbi, aggravati da alcune esperienze, alle quali era solito dare un particolare significato. A partire dalla sua venuta al mondo: la morte della sorella gemella Jane in seguito a parto prematuro. L’infanzia negli anni trenta fu segnata da instabilità familiare e da spostamenti. Già da ragazzino Dick ebbe bisogno di un sostengo psichiatrico. La lettura fu sicuramente un importante rifugio per lui.
Approdò in California per non andare mai più via. E qui, appassionato di forme di letteratura minore, come la sci-fi, cominciò a scrivere i suoi primi racconti, anche se fece almeno un qualche tentativo, fallimentare, di approdare a pubblicazioni mainstream. Uno scrittore da poco, dunque sottopagato, ma che ben presto cominciò a farsi un nome grazie a due fondamentali fattori: la sua eccessiva visionarietà che indubbiamente aveva la facoltà di vincere il lettore curioso (aldilà delle sue qualità stilistiche, messe sempre in dubbio); vide il crescere intorno a lui di un uditorio, di un pubblico giovane, sempre più interessato al genere. L’interessamento di editori e media fu conseguenziale.
C’è da valutare anche un altro fattore, a dire il vero: quell’alone di scrittore maledetto, ribelle e drogato. Sì, è vero passò molto tempo in mezzo ai drogati e a credere in grandi cospirazioni; le sue non erano pose, anche se del suddetto alone un po’ ne rideva – imparò presto a giocare con la sua immagine. Politicamente ondivago, ossessionato da Nixon e dalla sua banda, fu spesso sopraffatto da manie come quella di essere spiato e perseguitato. Ebbe più ricoveri in strutture psichiatriche, perlopiù volontari e la sua non fu certo una vita facile.
Il cinema, la fama, la produzione febbrile
Ma la fama in qualche modo arrivò; l’apice naturalmente fu la trasposizione cinematografica di una sua opera da parte del regista Ridley Scott: Blade Runner, nel 1982 (anno tra l’altro della usa morte, peccato: dall’82 a oggi sono state quasi una ventina le trasposizioni su grande schermo dei suoi libri, tra cui alcune grandi produzioni). Del rapporto con Scott e con il cinema abbiamo parlato tempo fa, in questo articolo.
Philip Dick fu uno scrittore molto prolifico; romanzi e racconti e su tutti Carrère mette il romanzo Ubik, per ragioni che è molto bravo a raccontare. Ebbe poi ben cinque mogli. Era molto attratto dal sesso femminile, il suo stato febbrile di scrittore dei bassifondi non gli impedì di realizzare il suo desiderio di vivere una normale vita familiare. La cosa soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita si rivelò irrealizzabile e lui un po’ si rassegnò.
Proprio narrando di questo ultimo decennio la posizione di Carrère, rispetto allo scrittore, all’uomo, si fa più chiara: egli gli sta di fianco, testimone attento, segue lo sviluppo del pensiero di Dick, le sue visioni e ossessioni messianiche; in ultimo i suoi dubbi terribili circa lo sdoppiamento di personalità che rendeva penosa la sua esistenza e che allo stesso tempo alimentava la sua scrittura. Alimentava in particolare la sua Esegesi una opera imponente fatta di annotazioni sui fatti filosofici, introspettivi e politici che gli stavano più a cuore. E proprio in base a questi scritti che Carrère sviluppa la sua biografia.
L’eredità di Philip Dick
Tali scritti sono arrivati fino a noi anche grazie a suoi “discepoli”, alcuni molto noti, come Jonathan Lethem. Si cita l’opera del primo biografo di Dick, Divine invasioni. La vita di Philip K. Dick di Lawrence Sutin (1989). Ci sono poi le lettere a conoscenti, amici e autorità; le testimonianze delle mogli e di alcuni suoi sodali.

Infine, qualche nota proprio su questo suo circolo di “discepoli” e ammiratori, anch’essi scrittori di fantascienze, spesso di successo.
Ecco il piccolo cenacolo californiano della narrazione fantascientifica che si riuniva negli anni settanta in simposi ai quali partecipava spesso Philip K. Dick: prima di tutto Harlan Ellison autore e curatore per una fondamentale raccolta di racconti sci-fi degli anni Settanta, dal titolo Dangerous Visions (1967) con una prefazione di Isaac Asimov (per chi si voglia fare un’idea c’è la raccolta Visioni, Oscar Urania Mondadori). C’è il meglio di certa narrativa fantascientifica dell’epoca, quella che se vogliamo potremmo definire “antagonista”.
Altra personalità del simposio, Tim Powers, molto giovane al tempo; adepto, autore di romanzi e racconti, che Carrère descrive come un tipo un po’ credulone .
Poi c’è K.W. Jeter, descritto invece come un tipo “losco”, diffidente e poco affidabile. Sembra che consideri a tutt’oggi il vecchio Phil come il suo maestro. Ha scritto racconti tra horror e fantascienza, spesso infarciti di violenza. Ha scritto anche un paio di sequel di famose opere altrui, addirittura un Blade Runner 2.
Titolo: Io sono vivo, voi siete morti
Autore: Emmanuel Carrère
Editore: Adelphi
Anno: 2016