“Parenti lontani” di Gaetano Cappelli

Esiste un romanzo che gira da anni in Italia, tra librerie, bancarelle, di mano in mano quasi clandestinamente, è un capolavoro, ma è ancora di nicchia, se lo consigliano gli amici lettori, i fidanzati lettori, i colleghi lettori, insomma… Quelli che non possono stare senza leggere e hanno bisogno di pezzi forti. Parenti lontani di Gaetano Cappelli, l’edizione Tascabili Marsilio (ma da qualche tempo è sbarcato in Feltrinelli). Una storia e uno stile che hanno messo d’accordo la critica e il pubblico, un’alchimia riuscita tra viscere ben radicate in Lucania e il pensiero che vola leggero alla grande tradizione americana, un prodotto che il premio letterario intestato a John Fante non si è fatto scappare, anche perché c’è una certa nevrosi che percorre queste pagine, una fame di vita e un coraggio a sbandierare le più aberranti bassezze che in un certo senso ricordano lo stesso Fante.

Edizione Marsilio, la prima edizione del testo è del 1998.

Il fantasma di Arturo Bandini, un tocco di Malaparte

Lo si capisce dall’incipit che ci troviamo di fronte a un libro che resta, una sintesi perfetta tra immaginario americano – inizia con una dichiarazione forte: “Sono orfano”, che non può non rimandare a certe immagini cinematografiche di The Little Rascals – e finisce nella maniera più italiana possibile, meridionale mi verrebbe da dire, “non me la prendo”. «Sono un orfano, un povero orfano di padre e di madre; è la prima cosa certa che so della mia vita, ma non me la prendo».

Questo marcare sarcasticamente l’essere orfano, poveretto, di padre e di madre, ovvio, ci dà la cifra dello stile di Cappelli, continuamente in bilico tra triste presa di coscienza di come vanno le cose e un disperato e ostinato voler vedere il bicchiere mezzo pieno per ridere in faccia al destino.

Apparentemente è una scrittura semplice, o meglio è una scrittura leggera; in verità per comprendere appieno le immagini che ne escono bisogna avere lo spessore culturale dell’autore. Dopo l’attacco: Cappelli comincia a mettere assieme i pezzi, una nonna che comanda, fotografie di zii, «è riuscita a spadellare una dozzina di figli», chi morto infante, chi morto in Africa, «se lo sono mangiato tutto tranne uno stinco». Poi arriva il pranzo, la nonna è una regina circassa, il resto della famiglia sono contadini contriti come nel dipinto l’Angelus, quindi siamo di fronte alla contrapposizione di due quadri, “Femme circassienne voilée” di Jean-Léon Gérôme e per l’appunto l’Angelus di Jean-François Millet.

Siamo in Lucania, anni ’50, Carlino di Lontrone è orfano di una famiglia che ha un certo peso nel suo paesello, producono olio, e i suoi genitori muoiono in un incidente d’aeroplano di ritorno dagli States, dove c’è un ramo della famiglia – i “parenti lontani” -, che si è arricchito dapprima vendendo quell’olio, poi per altre strade. I primi anni della vita di Carlino si consumano tra due fuochi, la nonna generale e un battaglione di cugine. Le pagine sulla riscoperta del seno da parte del ragazzino che una notte dorme nel letto con la cugina Tea sono talmente esilaranti da essere destinate di sicuro a restare come le pagine sull’attività autoerotica di Arturo Bandini nello sfogliare giornali patinati; con una differenza: Cappelli non si ferma, quasi si può vedere l’autore sorridere mentre descrive questo ragazzino in una sorta di contemplazione mistica (la rumis, la mammella della lupa, un Romolo senza Remo, l’inizio del cammino di un più alla mano Western Code: sesso, cibo e alka seltzer, da Roma a New York.).

Ritratto di Gaetano Cappelli
Gaetano Cappelli.

Dopo la scena della riscoperta del seno anche qui compaiono delle riviste di fantiana memoria, solo che non sono usate per attività autoerotiche bensì: «Osservo i rotocalchi con le pagine strappate che servono da carta igienica»; non so se la cosa sia voluta giacché negli Ottanta era così, e magari il piombo della stampa ben spalmato nel didietro avrà anche contribuito a quell’euforia che ha caratterizzato tutto il decennio, ma sta di fatto che questa improbabile coincidenza ci descrive perfettamente l’indole dell’autore, capace di ridere di tutto e di tutti, iconoclasta, ma con stile e qui c’è la differenza con altri presunti iconoclasti che calpestano la scena letteraria di oggi, lo stile, la classe.
Ricorda per certi versi Curzio Malaparte in La pelle, quando tenta una lezione di storia ai soldati americani mentre entrano a Roma, tutti distratti, ma non appena salta fuori la parola magica “sorella”, sono tutti improvvisamente interessati alla “spiegazione”.

Dalla Lucania all’America

La fabula del libro è semplice, il viaggio, il desiderio di evasione, Carlino vuole andare in America. Fino alla fuga in America, che avverrà quando la nonna lo metterà su di un altare di fianco a una donna scelta da lei, la vita di Carlino è costellata di episodi assurdi e personaggi uno più buffo e strampalato dell’altro, primo tra tutti il mito della sua infanzia, Pit, compaesano dieci anni più vecchio di lui, partito per Milano, che gli avrebbe poi insegnato a corteggiare le donne e lo avrebbe introdotto al mondo del rock, quindi dei cannoni… Un campo coltivato a marijuana viene scoperto proprio vicino al suo paesello, un Macondo molto più gagliardo, dove possiamo trovare anche quei due miracoli dell’ingegneria letteraria che sono l’organista del paese Medoro Sarchione, un mistico rosacrociano, un altro fuori di testa, che insegnerà a suonare l’organo al nostro protagonista, e poi il professore delle scuole medie Sabino Corelli, il prototipo del cultore meridionale di storia locale (ce n’è uno per ogni paesello, giù al sud da noi). Questi è convinto che qualsiasi fenomeno culturale provenga dal metro quadro che lo circonda, o meglio dal suo paese natio.

Carlino riuscirà ad arrivare in America, combinerà dei gran casini anche lì, sarà sempre fedele alla sua grande passione, le donne, disposto per loro a cambiare tutto, anche idee e gusti. «Jenny mi fissava con i suoi grandi occhi dalle grandi ciglia – anzi aveva un così strano modo di fissarmi … ogni tanto piluccava dal mio piatto direttamente con le dita, abitudine che avevo sempre detestato e che ora, invece, mi sembrava il massimo della raffinatezza cosmopolita».
E l’autore, che è autoironico in maniera devastante – e oggi l’autoironia, segno di sensibilità e intelligenza, non si comprende molto, troppo tronisti in giro, troppi opinionisti – ebbene l’autore stesso indosserà i panni del Corelli quando spiegherà al lettore che il suo personaggio è all’origine del più importante fenomeno pop di tutti i tempi, o quasi; infatti, Carlino conoscerà una tamarra a New York alla quale insegnerà come avere successo; quella ragazzina si rivelerà essere Madonna!       

Parenti lontani è di una leggerezza unica ma non va confusa con la superficialità. Nel secolo scorso un buon autore per spaccare i nodi inestricabili dell’esistenza umana, duri quanto un tronco, picchiava con la sua penna alla guisa di un’accetta una, due, tre volte…e lo spettacolo era sostanzialmente nel vedere l’autore sfiancarsi. Oggi no, c’è gente che riesce a farlo con un solo colpo: un tronco, un colpo, l’animo che si apre in due – il riverbero della tragedia classica, si aprono voragini.
In Parenti lontani la voragine si spalanca qui:

«Chissà forse staranno pure loro meditando sul destino che li aspetta. Proprio come stasera causa la fica, prima o poi dovranno partirsene per le altre cose che servono nella vita. Apache, Tarcisio dov’è che andranno? A Torino, Bologna, Milano, non esattamente in città che lì costa troppo, in qualche paese vicino e alla fine non così diverso dal nostro, e al ritorno dal lavoro, sballottati nel freddo di un treno o fermi in macchina davanti a un semaforo nebbioso, gli tornerà in mente proprio questa sera. Sorrideranno per la nostra rozzezza di adesso, il modo in cui vestiamo, le nostre poche lire, ma intanto una carezza passerà sui loro cuori e quando apriranno la porta di casa e la moglie e i bambini li saluteranno affettuosi ma con un accento estraneo, sapranno che questa era la loro vera vita, che non potranno mai dimenticarla».  

 Da acquistare e da conservare gelosamente.