Scritto e diretto da Matteo Rovere, Il primo re intende mostrare Roma prima che diventasse Roma, l’origine di un popolo capace di creare un impero e di conquistare gran parte del mondo conosciuto.
Recuperando soltanto in parte le fonti letterarie dei vari Virgilio, Ovidio e Plutarco, che attribuiscono a Romolo e Remo una discendenza troiana, nel Primo re Rovere ricostruisce le paludi del Lazio nell’VIII secolo a.C., quando quelle terre non erano ancora abitate, se non da piccole tribù che si contendevano il territorio attraverso scontri nel fango dalla brutalità ancestrale.
In questo contesto primitivo, ecco i due prescelti, Romolo e Remo, condannati a guidare una piccola comunità verso la vittoria sugli odiati vicini di Alba Longa. Tutto questo non fa che scatenare dapprima una guerra tra la gente del Lazio e, in secondo luogo, tra gli stessi fratelli, il cui legame è destinato a cessare a causa della profezia di una vestale: il loro futuro è segnato dal volere degli dèi, per cui soltanto uno di essi sarà re. E così, non essendoci spazio per entrambi, l’altro sarà ucciso.
Il primo re si basa, dunque, su un dualismo ideologico: da un lato c’è Romolo, che vuole assecondare la volontà degli dèi (fondare una nuova civiltà), nonostante questo voglia dire sacrificare suo fratello; dall’altro, invece, c’è Remo, destinato all’oblio ma pur sempre fondamentale affinché la profezia si realizzi.
Kolossal cupo che segna la rinascita – si spera definitiva – del cinema italiano, Il primo re è un progetto ambizioso in cui Matteo Rovere, nonostante la giovane età, riesce a non deludere, soprattutto per la gran cura della fotografia e per la scelta delle location, un Lazio violento e barbaro, senza legge.
Zone paludose, montagne rocciose, foreste e boschi mediterranei, spiagge, zone termali e sulfuree: è in questo paesaggio che si muovono Alessandro Borghi (Remo) e Alessio Lapice (Romolo), interpreti eccezionali di una sceneggiatura che ricerca un naturalismo assoluto e che è dunque scritta in protolatino, un latino ben diverso da quello di Virgilio e Cicerone ma più simile all’indoeuropeo, la madre di buona parte delle lingue parlate dai popoli del continente euro-asiatico.
È proprio con il paesaggio che devono confrontarsi Romolo e Remo; un paesaggio capace di diventare addirittura un loro complice, un nemico o una divinità a seconda delle circostanze.
Inevitabile è anche la presenza di forti elementi simbolici senza cui la leggenda di Roma non avrebbe avuto ragione di esistere: il fuoco sacro di Vesta, il fico ruminale, la lupa – madre presunta dei due fratelli, a giustificare l’indole guerriera dei loro discendenti – e infine il Tevere, punto nevralgico attorno a cui si articola tutta la vicenda.
Girato tra il parco regionale dei Monti Simbruini, il parco dei monti Lucretili e il monte Cavo, Il primo re è lo splendido risultato di un’attenta collaborazione tra il regista e docenti e ricercatori dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, il che ha permesso al film di Matteo Rovere di distinguersi da un comune film storico per la scrupolosa ricostruzione storica e archeologica.
Un progetto senz’altro ambizioso, tappa fondamentale per ricostruire il genere storico-mitologico, abbandonando però la dozzinalità degli effetti speciali e delle inesattezze storiche, per virare verso il naturalismo estremo: l’esito è un autentico spettacolo visivo e registico, seguendo l’esempio del Revenant di Iñárritu, a cui si aggiungono una cupezza e una epicità che al cinema italiano di tema storico mancavano da molti anni.