Andrea Segre è un regista quarantottenne conosciuto soprattutto come documentarista. Inoltre, svolge attività di ricercatore presso l’Università di Bologna, ambito “sociologia della comunicazione”. Ebbene, nel suo ultimo film, Berlinguer – La grande ambizione (2024), tali conoscenze hanno trovato applicazione e dato i loro frutti. In Elio Germano si rivede ancora una volta l’attore versatile e brillante che oramai ben conosciamo, e che calatosi nei panni del leader comunista ha accettato una sfida di quelle che fan tremare le vene ai polsi.
La parabola di un leader timido
La figura di Enrico Berlinguer è stata spesso tirata dentro le narrazioni di questi ultimi anni, non si può dire riscoperto perché come riferimento non è mai tramontato, ma di sicuro evocato a rappresentare più che mai un modello, di pacatezza, di onestà, eccetera. Al contempo, non si può immaginare una personalità più distante dallo scenario della politica odierna. Tenuto conto di ciò va detto che in questa ricostruzione, Segre e il suo co-sceneggiatore, Marco Pettenello, hanno fatto davvero un buon lavoro.
Quella di Berlinguer è stata la parabola di un leader timido, ma ostinato, che si mosse con accortezza “democratica” in un mare in tempesta. Questo è ben chiaro nel film. Molti, soprattutto a sinistra, non capirono alcune sue scelte, dettate dalla prudenza, in un’epoca in cui il nostro paese era a rischio golpe. Non a caso una delle prime sequenze del film è il bombardamento del palazzo presidenziale del Cile, in cui Allende e il suo governo vivono le ultime drammatiche ore di vita. Siamo nel 1973. Ed è noto che il governo di Allende fosse nato sulla base di una alleanza tra le “forze popolari” socialiste e cattoliche. Dato che questa idea di superamento delle divisioni, come ben si vede nel film, rappresentò il faro dell’azione politica di Berlinguer e del P.C.I. a partire proprio da quell’anno fatidico, possiamo ben capire di quale ingrato compito di fronte agli alleati, ma anche al cospetto di una massa di elettori, si stesse sobbarcando il piccolo e cocciuto segretario. Questi passi accorti ma determinati sono tutti messi in scena da Segre e Germano con precisione. La necessità di svincolarsi dall’influenza dell’Unione Sovietica, dove per dovere Berlinguer continua a recarsi per parlare al Congresso del PCUS e per prospettare con coraggio questa visione, questa via per il socialismo. Rispondere alle regole dell’occidente democratico, esercitare pressione sui governi democratico-cristiani, arrivare al loro superamento, riformare e salvare l’Italia. Ambizioso e forte di un momento favorevole dal punto di vista elettorale, Berlinguer dà il via al dialogo con Aldo Moro, decide di puntare su un uomo che ha potere ed autorità.
Un gustoso aneddoto è circolato in questi giorni: durante il tour di presentazione del film, Segre e Germano sono stati ospiti di Nanni Moretti al suo Sacher, e questi non ha mancato di punzecchiarli sul fatto che probabilmente se fossero stati ventenni allora, non sarebbero stati poi così entusiasti del cosiddetto “compromesso storico”.
Un viaggio fatto da immagini di un paese che non c’è più
Le vicende politiche salienti e i momenti familiari, intimi del grande leader sono inseriti nel flusso di immagini di repertorio, di eccezionali documenti visivi, che risulteranno inediti ai più. Ci sono le fabbriche, le città grigie, le strade sconvolte dalla violenza, i volti delle gente. La cosa che colpisce nel segno è proprio questo passare dalle immagini di quei giorni alle scene in cui Germano è protagonista assoluto, con un montaggio sapiente nei tempi e fluido. Concorre a ricreare la generale atmosfera di tensione e a tratti di nostalgia, la colonna sonora: oltre ad alcuni classici dell’epoca, le musiche di Iosonouncane, uno dei più interessanti autori del panorama musicale di oggi. Nessun elemento prevale sull’altro, ma con alcuni momenti apicali, come la marea rossa della Festa dell’Unità di Reggio Emilia (quella per intenderci immortalata in modo superbo da Luigi Ghirri), che Segre ha voluto farci rivivere. Un evento che in realtà si colloca dopo il rapimento e la morte di Moro, venuta a recidere quel legame speciale su cui Berlinguer aveva puntato per la realizzazione del suo disegno.
Quindi, un viaggio fatto da immagini di un paese che non c’è più, e dal ricordo di un uomo politico a suo modo carismatico. Non era nelle intenzioni degli autori del film mitizzare questa figura e questo si vede; eppure, si esce dal cinema con la sensazione forte che di questa lezione ci sia molto, se non tutto, da conservare e preservare.