Biografilm. The Dating Game: maschi e femmine nella Cina contemporanea

Al Biografilm Festival di Bologna c’è una sezione che si intitola Contemporary Lives pensata per documentari in grado di suscitare dibattiti intorno a fatti forti della società contemporanea, a livello globale. Ed è in questa sezione che abbiamo assistito alla proiezione di The Dating Game della regista e produttrice Violet Du Feng, un interessante viaggio nella Cina contemporanea. La Cina di cui tanto si parla – spesso con note negative – ma della cui quotidianità, in verità, si sa pressocché niente. (Ma come vedremo non troveremo altri bestiari che non siano risultato della patina di omologazione che ci riguarda tutti).

Le conseguenze del non-amore

Il discorso muove da una piaga della società cinese, tangibile nelle immense, mostruose metropoli in cui milioni di contadini e figli di contadini si sono trasferiti nei decenni. La fine della politica del figlio unico pare abbia presentato il conto: all’incirca 30 milioni di maschi in più (cosa che tra l’altro getta un’ombra sinistra su come nella povertà delle campagne tale legge sia stata interpretata). Possiamo dunque immaginarci orde di giovani single in cerca di amore in giro nella metropoli distopica, ed è proprio questo che il doc ci fa vedere, ragazzi senza grandi mezzi e poco “appetibili” che nel distretto di Chongqing cercano moglie. Per avere una chance il gruppetto si affida alle cure e alle lezioni del dating coach, che mette in opera una serie di strategie farlocche. Ma soprattutto cerca di superare con la sua psicologia spiccia le ritrosie di individui diffidenti verso le tecnologie sociali e dotati di scarsa o nulla autostima.

Sala cinema Biografilm

Puntare tutto sull’apparenza   

L’immagine della donna non è certo quella della Cina che fu, del duro mondo rurale in cui ammazzarsi di lavoro e di parti. L’immagine è tutto; gli strumenti messi a disposizione dalle app (naturalmente qui WeChat la fa da padrone) producono pura apparenza, menzogna. In questo senso la Cina popolare non fa eccezione. Sono dinamiche che si riproducono all’infinito in tutti i paesi che hanno un certo livello di benessere (presunto o illusorio). Nelle interviste fatte a questi poveri giovani però traspare un certo livello di consapevolezza: quando raccontano dei genitori, dei loro villaggi, essi sembrano aver individuato le ragioni del loro disagio. Lo stesso coach non è esente da difficoltà nella sua vita di coppia. È messo in evidenza un problema di comunicazione tra i sessi.

La Cina è vicina

Un aspetto interessante di questo doc – e in questo senso è sicuramente riuscito e la visione è consigliabile – è il quadro d’insieme che viene  realizzato di questa realtà. Molto belle le panoramiche tra le luci e i colori della città, in cui tutto appare ipertrofico e cresciuto in fretta. Si provi fare un confronto con il documentario Chung Kuo, girato da Michelangelo Antognoni nel 1972 (lo si trova qui, su RaiPlay). Ma si potrebbero citare altri momenti del nostro cinema e della nostra letteratura: è dai tempi di Marco Polo che a noi italiani la Cina è sembrata sempre tanto vicina.

La proiezione è avvenuta con la collaborazione con la Collettiva Yilou, una associazione transfemminista italo-cinese impegnata nella promozione dei diritti, con base in Bologna.

 

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