Quando l’adolescente Priscilla Beaulieu (Cailee Spaeny) incontra a una festa privata Elvis Presley (Jacob Elordi), già superstar del rock’n’roll, le si rivela come qualcuno di completamente diverso: un amore travolgente, un alleato nella solitudine e un amico vulnerabile. Attraverso gli occhi di Priscilla, Sofia Coppola ci racconta il lato nascosto di un grande mito americano, nel lungo corteggiamento e nel matrimonio turbolento con Elvis. Una storia iniziata in una base della Germania Ovest e proseguita nella sua tenuta da sogno a Graceland: un legame fatto di amore, sogni, fama, ma anche di profonda malinconia e solitudine.
All’età di 21 anni era una delle donne più famose e invidiate al mondo, la regina simbolica del rock and roll americano: tuttavia Priscilla Presley, il grande amore e unica moglie di Elvis, era appena conosciuta. La sua storia è stata a lungo eclissata dal calore travolgente e dalla luce dei riflettori puntati solo su di lui, ma al suo interno si cela un racconto alternativo e privato. Se da una parte la storia rispecchia la società di allora, dall’altra è quella di una ragazza piena di sogni che desidera crescere all’interno di una fiaba splendidamente costruita, e che alla fine si risveglia con desideri personali molto concreti e tangibili.
Sofia Coppola presenta uno scorcio del periodo che Priscilla ha trascorso con Elvis dai contorni misteriosi: la narrazione si svolge come un ricordo intimo, da un punto di vista inizialmente infantile e sognatore, per poi espandersi a mano a mano che Priscilla realizza un sogno al contempo seducente, soffocante e mutevole, raggiungendo la maggiore età in maniera decisamente poco convenzionale.
La storia inizia infatti quando, a 14 anni, conosce Elvis, ragazzino annoiato e solitario, arruolato in Aviazione e di stanza in Germania, sino ai 24 anni, quando lascia la terra dei sogni colorati di Graceland come giovane madre affamata di esplorare il proprio futuro, non ancora scritto. Di questo decennio, Sofia Coppola dipinge un’esistenza immersiva, a suo modo affascinante, ma anche una visione delicata e dettagliata di una giovane donna che scalpita per definire se stessa in un mondo dove è costantemente definita da altri.
La regista costruisce un’impalcatura che poco ha che fare con la mera riproposizione biografica, affrontando il percorso di crescita non come una cronologia rigorosa ma come una sintesi fatta di umore, di stile e di sentimenti profondamente interiorizzati: biografia non come decostruzione della personalità, quanto piuttosto come evocazione e creazione di un’identità.
E dunque, così come avveniva nel bellissimo Marie Antoinette del 2006, anche Priscilla viene catapultata da adolescente in una vita di privilegi come quella dei reali europei, anche se immersa in ben altra unità di tempo e di spazio: l’onda d’urto culturale (e sessuale) della rivoluzione rock e le complessità del magnetismo di Elvis vengono viste attraverso il filtro di un’adolescente che rincorre un esile sogno romantico. Rievocando candidamente come fu vissuta dall’interno l’ascesa e il declino della loro corte (la vicinanza, la passione, la meraviglia, la stranezza, la claustrofobia e il desiderio crescente di evadere da essa), la regista americana dà a Priscilla la titolarità della sua storia.
Nel film, Sofia Coppola ha volutamente disegnato la sua versione di Elvis – di solito forza motrice di ogni narrazione – come personaggio secondario nella storia di Priscilla: questo capovolge astutamente la sceneggiatura, rivelando l’impatto su Priscilla dello scarto tra le loro potenzialità, i loro orizzonti, e allo stesso tempo raccontando la natura del loro rapporto, assimilabile a quello di due amici che sussurrano nel buio, il lato che aveva profondamente conquistato Priscilla nei primi incontri.
Peccato, e qui veniamo alle note dolenti, che Sofia Coppola non sia più quella del 2006, e forse neanche più quella di Somewhere (opera grazie alla quale, proprio alla Mostra del Cinema, si aggiudicò il Leone d’Oro nel 2010): ecco allora che pur perseguendo un’idea di cinema chiara e coerente, l’hic et nunc femminista finisca per depotenziare la forza narrativa del film, derubricandolo a biopic prospetticamente atipico ma poco incisivo, in cui si fatica a identificare un centro e all’interno del quale nessun personaggio sembra offrire una problematicità che riesca a far deragliare l’opera fuori da uno stanco schematismo. E allora – Phoenix a parte, sempre perfettamente calati nella narrazione – la noia diviene fatale.