Aku wa sonzai shinai (Evil Does Not Exist): Takumi e la figlia Hana vivono nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo. Come altre generazioni prima di loro, conducono una vita modesta assecondando i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del villaggio vengono a conoscenza del progetto di costruire, vicino alla casa di Takumi, un glamping, inteso a offrire agli ospiti una piacevole fonte di “evasione” nella natura. Quando due funzionari di Tokyo giungono al villaggio per tenere un incontro, diventa chiaro che il progetto avrà un impatto negativo sulla rete idrica locale, tanto da causare un forte malcontento generale. Le intenzioni contraddittorie dell’agenzia mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano sia lo stile di vita degli abitanti, con profonde ripercussioni sulla vita di Takumi.
Per la prima volta in competizione alla Mostra del Cinema di Venezia arriva il regista giapponese rivelazione di questi ultimo lustro, Ryusuke Hamaguchi, col suo nuovo lungometraggio Evil Does Not Exist (Aku wa sonzai shinai). E chissà se l’autore riuscirà a conquistare anche il Lido dopo essere entrato nel palmarès della Berlinale 2021 (dove ha vinto l’Orso d’argento per lo splendido Il gioco del destino e della fantasia) e di Cannes con Drive My Car (Prix du scénario), che gli è valso anche quattro candidature agli Oscar.
La storia tocca dunque i temi attualissimi della sostenibilità ecologica e del rispetto delle culture rurali ma il vero fulcro del cinema del nipponico continuano a essere i rapporti umani e il dialogo tra linguaggi artistici, come già la letteratura e il teatro nei due film premiati a Berlino e Cannes: stavolta a giocare un ruolo fondamentale è stata la musica, firmata dalla stessa compositrice di Drive My Car, Eiko Ishibashi.
Evil Does Not Exist prende infatti le mosse da un video realizzato da Hamaguchi per Gift, un’esibizione dal vivo della sua collaboratrice, e sono soprattutto i tempi cinematografici a impressionare in quest’ultima opera, in cui a un ostinato anti modernismo fa da contrappunto un ritmo morbido ma implacabile dal quale lo spettatore viene travolto senza troppi complimenti: si veda a questo proposito la sequenza iniziale, che sa prendersi il giusto spazio per introdurre il protagonista della vicenda, ma anche lo straordinario dibattito cittadino, filmato con una splendida serie di campi e controcampi che sanno restituire la temperatura emotiva del confronto e delle idee in gioco.
Meno dialogico dei due precedenti film, ma sempre con Rohmer e Ozu come riferimenti imprescindibili della propria poetica, Hamaguchi gira un film di grande efficacia e forza emotiva, che conferma il talento del nipponico e anche quanto in un grande Festival internazionale, dopo giorni di film a stelle e strisce e modestissimi film italiani, sia imprescindibile stabilire un dialogo quantitativamente più sostanzioso con la cinematografia orientale: l’impressione è che la gestione Barbera abbia volutamente messo da parte questo aspetto, con un numero di opere selezionate sempre minore e spesso confinate in sezioni collaterali della selezione veneziana. Speriamo che chi verrà dopo di lui sappia investire di più e meglio in tal senso, ne abbiamo tutti estremamente bisogno.